SPORT E CUORE
Giocare a tennis allunga la vita
Non sono i runner i più “bravi” a prevenire le malattie cardiache. Lo fanno meglio, nell’ordine, i tennisti, i nuotatori e i fan della ginnastica aerobica. Dallo studio del British Journal of Sports Medicine arriva l’invito a impugnare la racchetta
Fuori la corsa, dentro il tennis, il nuoto e l’aerobica. La lista degli sport che allungano la vita suonerà come un affronto ai runner, abituati a venire rimproverati dagli ortopedici ma incoraggiati dai cardiologi. Non sono loro i più “bravi” nel prevenire infarto, ictus e malattie cardiache. Tennisti, nuotatori e assidui frequentatori di lezioni di ginnastica aerobica sanno fare di meglio.
La doccia fredda per i fanatici della corsa, da sempre convinti che gli inevitabili danni su tendini e articolazioni fossero il prezzo da pagare per un cuore più sano, arriva da uno studio pubblicato sul British Journal of Sports Medicine.
Lo sport fa bene. Ma quale sport fa bene a cosa?
Il leitmotiv di tutte le campagna di prevenzione è ben noto: lo sport fa bene alla salute. Ma per i ricercatori inglesi l’affermazione è troppo generica. Si tratta ora di capire quale sport fa bene a cosa. E per scoprirlo, gli scienziati hanno passato al vaglio i dati di 11 rapporti annuali sulla salute della popolazione di Inghilterra e Scozia tra il 1994 e il 2008. Al campione scelto, composto da più di 80 mila adulti dall’età media di 52 anni, sono state rivolte domande specifiche riguardo all’attività fisica praticata nelle quattro settimane precedenti: il tipo di movimento, la frequenza degli allenamenti, l’intensità dell’esercizio misurata sulle sensazioni ben note agli sportivi, ossia mancanza di fiato e il sudore.
Nelle risposte erano contemplate anche attività che di sportivo hanno poco, come i lavori domestici, il giardinaggio, il bricolage e le camminate. Per quanto riguarda gli sport veri e propri, i ricercatori hanno concentrato l’attenzione su sei discipline: ciclismo, nuoto, aerobica, corsa, calcio o rugby, e sport “da racchetta” che comprende tennis, squash, o badminton (simile al tennis ma con il volano al posto della palla). Il campione è stato monitorato per 9 anni. In questo periodo di tempo 8790 persone sono morte per cause varie e 1909 per malattie cardiache o ictus.
La rivincita delle racchette
Dall’analisi delle risposte i ricercatori hanno tratto una serie di conclusioni.
La prima: l’attività fisica non è un’abitudine diffusa. Meno della metà dei partecipanti (44 per cento) rispettava la quota di esercizio settimanale raccomandata dalle linee guida internazionali. E il dato non è rincuorante, nel vero senso della parola, visto che il principio che muoversi fa bene al cuore resta comunque valido. Qualunque sport è meglio che nessuno sport. Ma alcuni sono meglio di altri.
Cominciamo con i confronti: rispetto a chi indossa una tuta solo per stare più comodo in casa, i giocatori di tennis e affini riescono a ridurre il rischio di morte per qualunque causa del 47 per cento, i nuotatori del 28 per cento, i fan dell’aerobica del 27 per cento e i ciclisti del 15 per cento.
Entrando più nel dettaglio, i ricercatori si sono concentrati sulle malattie cardiache e l’ictus. E qui arrivano le sorprese. Al primo posto restano il tennis e i suoi simili con il 56 per cento di riduzione del rischio, seguiti da nuoto (41%) e aerobica (36%). Il confronto anche in questo caso è stato fatto con chi non pratica alcuno sport.
La grande assente: la corsa
Ciclismo, corsa, calcio o rugby non garantiscano gli stessi benefici.
Oppure, magra consolazione per i runner spodestati dai vertici della classifica degli sport più salutari per il cuore, quei benefici sono difficili da dimostrare. I ricercatori infatti ammettono di essersi inizialmente imbattuti in un dato a favore di chi corre rispetto a chi non corre, con un 43 per cento di riduzione del rischio di morire per qualunque causa, ma il vantaggio scompare quando vengono presi in considerazione altri fattori statisticamente rilevanti. Se si trattasse di un processo, è proprio qui, in questo passaggio dello studio, che l’ipotetico difensore dei runner troverebbe il punto debole dell’accusa. Ma questo studio non è stato pensato come una battaglia tra discipline sportive, con tanto di promossi e bocciati, e non ambisce a stabilire una sentenza definitiva. «Questo è uno studio osservazionale - dicono gli autori - quindi nessuna conclusione definitiva può essere tratta sulla cause e l’effetto, tenendo anche conto che altri fattori possono avere avuto un peso sui risultati: il periodo breve di osservazione, della stagionalità di alcune discipline, e della impossibilità di tracciare i cambiamenti nei livelli sportivi dei partecipanti lungo il corso del monitoraggio».
Per ora però la corsa resta la grande assente. Chissà come la prenderà Kate Carter, autrice del famoso running blog del Guardian. La sua puntuale domanda del lunedì “How was your week end running?” e lo spazio dato alle notizie sulle ultime tecniche per riparare i danni di tendini e menisco appaiono agli occhi di chi la legge, già infiammati dal demone della corsa, come un esplicito invito: correre a tutti i costi. E ora?
Fonte: HD HealthDesk, redazione,20 dicembre 2016