Novità scientifiche

SCENARI Italiani, la prevenzione non fa per noi

31 Marzo 2015

Da dieci anni a questa parte la salute degli italiani continua a essere complessivamente buona e per certi aspetti addirittura a migliorare: aumenta la speranza di vita alla nascita e diminuisce la mortalità infantile, anche se con importanti differenze tra aree diverse del Paese. Si potrebbe quasi parlare di una specie di “miracolo italiano”, di natura completamente differente da quello che passò alla storia nel secondo dopoguerra del secolo scorso. Un “miracolo” (apparente, almeno), quello attuale, perché questo miglioramento avviene in un contesto nel quale le nostre cattive abitudini in fatto di alimentazione e (complessivamente marginale) attività fisica pare proprio che non riusciamo a modificarle.

A tratteggiare la situazione è, in questo caso, la XII edizione del Rapporto Osservasalute (2014), un'approfondita analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell'assistenza sanitaria nelle Regioni italiane. Pubblicato dall'Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane che ha sede all'Università Cattolica di Roma e coordinato da Walter Ricciardi, direttore del Dipartimento di sanità pubblica del Policlinico Gemelli, e da Alessandro Solipaca, segretario scientifico dell’Osservatorio, il Rapporto è stato presentato lunedì 30 marzo.

«Siamo entrati in una nuova fase strutturale, nella quale incertezza e precarietà non saranno condizioni eccezionali, ma una consuetudine» sottolinea Ricciardi. «Partendo da questa considerazione - prosegue - appare quanto mai preoccupante lo scenario che si prospetta per il settore della sanità, uno dei pilastri del sistema di welfare del nostro Paese. È opinione diffusa che l’incertezza e la precarietà condizioneranno, sul piano politico, gli interventi e le riforme necessarie per un moderno stato sociale, mentre avranno effetto, sul piano individuale, sia sulle condizioni di salute, sia sulle scelte di vita. Il dottor Aldo Rosano, dell’Accademia romana di sanità pubblica, in un suo recente lavoro ha dimostrato che chi vive condizioni di precarietà lavorativa sperimenta un rischio più elevato di cattiva salute (+40%). I dati, già oggi, segnalano palesi elementi di incertezza. In particolare desta preoccupazione la contrazione delle risorse pubbliche a disposizione per la sanità: la spesa sanitaria pubblica è passata da 112,5 miliardi di euro del 2010 a 109,3 del 2013».

 

Aumenta la speranza di vita

Nell’ultimo decennio la speranza di vita degli italiani è aumentata per entrambi i generi, passando per gli uomini da 77,2 anni nel 2002 a 79,6 anni nel 2013, mentre per le donne è salita da 83 a 84,4 anni. Da notare che, sebbene la distanza sia ancora sensibile, sembra che i maschi stiano recuperando terreno rispetto alle donne. Nello stesso tempo è diminuita la mortalità infantile: nel 2011 è stata di 3,1 morti per 1.000 nati vivi rispetto al di 3,4 del 2006. Con una precisazione: un nato residente nel Meridione ha una probabilità di morire nel primo anno di vita che è 1,3 volte superiore rispetto a uno residente al Centro e 1,4 volte superiore rispetto a uno residente al Nord.

 

Ma aumentano anche i tumori prevenibili

Un segnale che la prevenzione non è il nostro forte è quello dei tumori che potremmo evitare seguendo stili di vita più accorti. Per esempio, tra le donne i nuovi casi di tumore al polmone sono aumentati del 17,7% tra il 2003 e il 2013. E anche quello alla mammella registra un incremento del 10,5%. Tra gli uomini l’incidenza del tumore al colon retto, nello stesso periodo, è aumentata del 6,5%. Anche in questo caso, a fare le spese di questo peggioramento del quadro epidemiologico sono soprattutto le Regioni del Mezzogiorno, dove gli aumenti sono spesso più marcati. Tutti segnali molto preoccupanti che testimoniano l’esigenza di investire in prevenzione, soprattutto se si considera che, laddove s'è fatta, si sono ottenuti risultati molto positivi; basti pensare, per esempio, che il numero di nuovi casi del tumore alla cervice uterina, nel decennio considerato, è in forte diminuzione (-33,3%).

 

Sempre più vecchi

I “giovani anziani” (65-74 anni) sono oltre 6 milioni, il 10,6% della popolazione, con valori regionali che variano dall’8,9% della Campania al 13,1% della Liguria. Gli “anziani” (75-84 anni) sono più di 4 milioni e rappresentano il 7,6% del totale della popolazione, ma, anche in questo caso, con evidenti differenze geografiche: in Liguria sono il 10,2% del totale, mentre in Campania “solo” il 6%.

I “grandi vecchi” superano il 1 milione e 700 mila (3% della popolazione), con la presenza maggiore in Liguria (4,4%) e minore in Campania (2,1%).

Si conferma l’aumento della componente femminile all’aumentare dell’età: è del 53,2% tra i “giovani anziani”, sale al 58,6% tra gli anziani e arriva al 69,4% tra i grandi vecchi.

Gli ultracentenari sono molto più che raddoppiati tra il 2002 e il 2013, passando da poco più di 6.100 a oltre 16.390. In altri termini, se nel 2002 ce n'era uno ogni 10 mila residenti, nel 2013 sono saliti a quasi tre. La componente femminile è di gran lunga la più numerosa: l'83,2% nel 2013 del totale.

Sovrappeso e obesi in aumento

Nel complesso, quasi la metà (il 45,8%) degli over 18 è in eccesso ponderale (era il 45,4% nel 2009): in particolare, nel periodo 2001-2012 è aumentata la percentuale delle persone in sovrappeso (33,9% contro 35,6%) e soprattutto è aumentata la quota degli obesi (8,5% contro 10,4%).

Le Regioni meridionali presentano la prevalenza più alta negli over 18, ma dal 2001 nel Nord-Ovest si è registrato il maggior aumento (circa 5 punti percentuali) di persone con eccesso ponderale.

Bambini e ragazzi sono tra i più esposti: secondo i dati (media 2012-2013) più di uno su quattro (26,5%) è in eccesso di peso, più i maschi che le femmine (rispettivamente 29,6% e 23,3%). Da segnalare che le prevalenze più alte si registrano tra i bambini e i ragazzi che vivono in famiglie con risorse economiche scarse, in cui il livello di istruzione dei genitori è più basso e in cui almeno uno dei genitori è in eccesso di peso.

Sportivi al palo, aumento i sedentari

Addirittura diminuiscono leggermente gli sportivi assidui: nel 2013 erano il 21,5% della popolazione di tre anni o più, mentre nel 2012 erano il 21,9%, come nel 2011. Cala un po' anche il numero degli italiani che praticano sport in modo saltuario: 9,1% nel 2013 contro il 9,2% dell’anno precedente. 

Di contro, scende anche il numero di coloro che, pur non praticando uno sport, svolgono un’attività fisica: il 27,9% della popolazione rispetto al 29,2% dell’anno prima, mentre i sedentari salgono a 24 milioni e 300 mila (il 41,2%) dai circa 23 milioni che erano (39,2%). La sedentarietà aumenta in maniera significativa per entrambi i generi: dal 34,6% al 36,2% negli uomini e dal 43,5% al 45,8% nelle donne. Le Regioni settentrionali sono quelle dove più alto è il numero di coloro che praticano sport in modo continuativo.

Si beve meno alcol

La prevalenza di coloro che non hanno bevuto alcolici negli ultimi 12 mesi è stata del 34,2% nel 2012 a fronte del 33,6% del 2011.

Diminuiscono i bevitori a rischio, anche tra i giovani (11-17 anni): 19,7% (maschi 22%; femmine 17,3%) nel 2012.

La prevalenza di binge drinker tra 18 e 64 anni è del 13,8% tra gli uomini e del 4% tra le donne, con valori più alti nella Provincia autonoma di Bolzano (37,8% per gli uomini e 13,8% per le donne) e più bassi in Campania tra gli uomini (8,8%) e in Basilicata tra le donne (2,0%).

E si fuma meno

Continua il trend in lenta discesa dei fumatori: nel 2010 fumava il 22,8% degli over 14, nel 2013 il 20,9%. 

È ancora molto elevata la differenza tra uomini e donne che dichiarano di fumare sigarette (26,4% uomini e 15,7% donne) o tra gli ex-fumatori (30,8% uomini e 16,3% donne). Una delle fasce di età che risulta più critica per entrambi i generi continua a essere, nel 2013, quella dei giovani tra i 25-34 anni in cui il 36,2% degli uomini e il 20,4% delle donne si dichiarano fumatori.

Malattie cardiovascolari primo big killer

Le malattie cardiovascolari sono ancora oggi in Italia, uno dei più importanti problemi di salute pubblica. La mortalità per le malattie ischemiche del cuore continua a essere quasi il doppio negli uomini rispetto alle donne; in particolare, nel 2011, si sono registrati 13,47 decessi (per 10 mila) fra gli uomini e 7,46 decessi (per 10 mila) fra le donne.

A livello regionale il primato negativo spetta alla Campania sia per gli uomini (17,14 per 10 mila) sia per le donne (10,61 per 10 mila).

Il dato confortante è però che dal 2003 continua il trend in discesa della mortalità sia per i maschi sia per le femmine, a tutte le età e in tutte le Regioni. 

Aumenta il consumo dei farmaci

Nel 2013, il consumo di medicinali a livello territoriale è in aumento del 4,8% rispetto all’anno precedente, con una media di 1.032 dosi di farmaco prescritte ogni giorno per mille abitanti. Nel periodo 2010-2013 si è registrato un incremento sensibile dei consumi nelle classi di età più anziane, che raggiunge il 42,1% sopra i 75 anni. La popolazione con più di 65 anni assorbe circa il 70% delle dosi giornaliere; al contrario, la popolazione entro i 14 anni di età ne consuma circa l’1,5% soltanto.

Nel 2013 si è registrato anche un incremento del consumo di antidepressivi, attribuibile a molteplici fattori: la riduzione della stigmatizzazione delle problematiche depressive, l’aumento dell’attenzione del medico di famiglia, l’arricchimento della classe farmacologica di nuovi principi attivi utilizzati anche per il controllo di disturbi psichiatrici non strettamente depressivi.

Suicidi, un dramma maschile con volto anziano

Nel biennio 2010-2011 il tasso medio annuo di mortalità per suicidio è stato del 7,32 per 100 mila residenti di 15 anni ed oltre; nel biennio 2008-2009 era stato del 7,23 per 100 mila. Nel 78,7% dei casi il suicida è un uomo.

La mortalità per suicidio aumenta al crescere dell’età. Per gli uomini vi è un aumento esponenziale dopo i 65 anni e il tasso raggiunge il suo massimo nelle classi di età più anziane: 21,6 per 100 mila fra 75 e 79 anni; 29,3 per 100 mila per la classe di età 80-84 anni; 35 per 100 mila sopra 85 anni; per le donne, invece, la mortalità per suicidio raggiunge il suo massimo fra 70 e 74 anni (4,7 per 100 mila).

Spesa sanitaria pubblica sempre più bassa

Nel 2013 la spesa sanitaria pubblica pro capite è di 1.816 euro, confermando la diminuzione che si registra da alcuni anni a questa parte. A livello regionale, all’ultimo anno di osservazione la spesa pro capite più alta è della Provincia autonoma di Bolzano (2.231 €), mentre la più bassa è in Campania (1.686 €).

Migliora il processo di modernizzazione delle Asl

Le Aziende sanitarie locali che utilizzano almeno un canale web 2.0 sono 80 su 143 (55,9%) nel 2014 (nel 2013 erano circa il 32% circa).

Fonte: HD HealthDelk Redazione Lunedì 30 Marzo 2015

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