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MUSICOTERAPIA Non parlano ma cantano: la terapia di Jenny Burnazzi che guida il Coro degli Afasici

C’è Franco, 65 anni, che non ricorda nessuna parola e oggi riesce a dire soltanto «sempre». C’è Dina, che ama la musica classica e che, dopo l’ictus, si rifugia in Bach e Chopin per recuperare «il mondo di ieri», quel mondo di ricordi e sensazioni che il danno cerebrale le ha portato via.

10 Giugno 2024

C’è Franco, 65 anni, che non ricorda nessuna parola e oggi riesce a dire soltanto «sempre». C’è Dina, che ama la musica classica e che, dopo l’ictus, si rifugia in Bach e Chopin per recuperare «il mondo di ieri», quel mondo di ricordi e sensazioni che il danno cerebrale le ha portato via. E, davanti a tutti, c’è lei, Jenny Burnazzi, musicista e musicoterapeuta di Ravenna, da tre anni in forze al Coro degli Afasici, un coro molto particolare, guidato - in diverse città - dalla Federazione nazionale ALICe Italia: è composto da uomini e donne che, in seguito a un ictus, non riescono più a parlare. «Ma spesso riescono a cantare», precisa Burnazzi, 42 anni, specialista del violoncello elettrico. Sì, perché «musica e linguaggio verbale non si trovano nello stesso emisfero cerebrale» e dunque il recupero segue una strada differente. Spesso più veloce. Capita così che alcuni riescano a pronunciare ogni parola di «Bella Ciao» - uno dei brani più popolari nelle sedute di gruppo -, ma che non riescano a pronunciare il proprio nome.

Canali differenti, memorie differenti, aree del cervello che si muovono in modo oggi non più tanto misterioso per la scienza e per la Federazione ALICe (acronimo di Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale), che ha fortemente voluto questi cori non solo a Ravenna, ma anche a Trieste, Genova, Cuneo, Firenze e L’Aquila. C’è, quindi, la musicoterapeuta che lavora in stretta connessione con la logopedista. Il linguaggio - spiegano dalla Federazione - si colloca nell’emisfero dominante, mentre la funzione musicale interessa l’emisfero non dominante. Questo è il motivo per cui una persona che non riesce ad articolare neanche le frasi più semplici, può con l’esercizio unire la propria voce a quella degli altri, anche solo sillabando.

«Con il canto - continua Burnazzi - riaffiora la memoria musicale, che è fatta ovviamente anche di parole. Ed è qui che la logopedista interviene per il recupero della memoria verbale». Il progetto, della durata di un anno, è frutto di un protocollo con i reparti come la Neurologia dell’ospedale e ha una struttura molto semplice. «Ci incontriamo ogni lunedì dalle 16 alle 17.30 circa», continua Burnazzi. E ogni seduta si apre con l’ascolto, perché un brano di musica classica predispone a questo. E ci sono persone che aspettano tutta la settimana questo momento perché «il potere della musica è anche quello di far sì che ci si senta coinvolti in un linguaggio comune, capace di combattere l’isolamento e la depressione». Principali nemici di chi sta seguendo un programma di riabilitazione dopo l’ictus. «Spesso - dice la musicoterapeuta - si perde l’uso della parte destra del corpo e quindi ci sono anche difficoltà motorie. L’impulso a chiudersi in casa è sempre forte e ammetto che appena dopo la pandemia molte persone non sono tornate ai nostri incontri».

Dopo l’ascolto, si passa al canto: qui il repertorio scelto dalla musicista deve essere accuratamente selezionato perché deve, in qualche modo, essere patrimonio comune dei pazienti, insomma canzoni nelle quali un po’ tutti e tutte si possano ritrovare. «Oltre ai classici come Quel mazzolin di fiori - spiega Burnazzi - ho provato, con successo, a inserire alcuni brani più recenti ma di grande successo come Attenti al lupo di Lucio Dalla. Ma il problema è che è difficile stabilire un’età media dei pazienti: si va dai cinquanta agli ottantacinque». E in queste occasioni tutti e tutte devono poter dare voce (letteralmente) al proprio vissuto, affinché la logopedista possa individuare le parole sulle quali lavorare. Per la persona con afasia può essere difficile riuscire a seguire discorsi veloci, trovare le parole adatte da dire o comprendere frasi molto lunghe e complesse. Quindi sia la musicoterapeuta sia la logopedista prestano particolare attenzione ai singoli, alle caratteristiche di ciascuno. «Per esempio - dice Jenny - nel nostro gruppo c’è una persona che ha perso completamente le parole legate al cibo». Quindi le canzoni da eseguire dovranno includere anche questo repertorio verbale.

Burnazzi è una donna esperta che non cede alla tentazione del «lieto fine», ben consapevole che ogni caso è diverso dall’altro e che ognuno si porta dietro una difficoltà precisa. Però le chiediamo di raccontarci qualche storia che possa restituire una speranza. «C’è da noi una persona - dice - che fa il musicista. Parlo al presente perché è importante capire che certe informazioni non vengono cancellate dall’ictus, ma il danno fa sì che non riusciamo a tradurre la conoscenza in parole, dunque per me Bruno (anche questo nome di fantasia, ndr) è un musicista a tutti gli effetti. Però non ha perso solo l’uso della parola: non riesce a utilizzare la mano destra, cosa che gli rende difficile suonare la chitarra. Allora lui fa gli accordi e io divento la sua mano destra. In sintesi suoniamo assieme».

Scherzando, Jenny ricorda a Franco che il Concerto per la mano sinistra è un’opera nobile, perché fu composto da Maurice Ravel tra il 1929 e il 1930, per il pianista austriaco Paul Wittgenstein - fratello del filosofo Ludwig - che perse il braccio destro prendendo parte alla Prima guerra mondiale. E infine c’è Mario, che prima dell’ictus non aveva mai provato curiosità per la musica e che adesso ha deciso di studiare pianoforte. «Le storie belle ci sono - conclude Burnazzi - e qualche volta è giusto raccontarle».

ALICe

A.L.I.Ce. Italia ODV

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