Dare alle amministrazioni locali, di concerto con Istituzioni sanitarie, scientifiche e accademiche, gli strumenti per promuovere strategie per migliorare l’informazione, la rete assistenziale, la prevenzione e la cura delle persone con diabete di tipo 2, limitando i “costi sociali” dovuti alle complicanze e alla mortalità.
È questo lo scopo del documento “Italian Urban Diabetes Charter” firmato a Roma, nella sede di Anci-Associazione nazionale comuni italiani, da Health City Institute, gruppo di lavoro sull'Urban Health di Anci, Istituto superiore di sanità, le società scientifiche della diabetologia (AMD-Associazione medici diabetologi e SID-Società italiana di diabetologia) e della medicina generale (SIMG-Società italiana di medicina generale) e Cittadinanzattiva.
«Il diabete è uno tsunami che avanza: si sta rivelando la malattia più rilevante e potenzialmente pericolosa del nostro secolo, per la crescita continua ed esponenziale della sua prevalenza e per la mortalità e le complicanze invalidanti correlate», ha dichiarato Andrea Lenzi, presidente di Health City Institute.
In Italia, le persone che dichiarano di avere il diabete sono 3,27 milioni, il 5,4 per cento della popolazione, secondo ISTAT, ma «stime effettuate su dati amministrativi dall'Osservatorio ARNO diabete, progetto di collaborazione fra SID e Cineca, indicano che il dato è molto superiore, pari al 6,2 per cento, e studi hanno evidenziato che, in realtà, per ogni tre persone con diabete ne esiste una che non sa di averlo; se la crescita della prevalenza della malattia continuerà ai ritmi attuali, entro 20 anni potrebbero esserci in Italia oltre 6 milioni di persone con diabete», ha aggiunto il presidente SID Giorgio Sesti.
Il fenomeno è particolarmente preoccupante nelle città, tanto che tra gli addetti ai lavori si sta facendo strada il concetto di “diabete urbano o urban diabetes”, che «non è una nuova forma di diabete, ma si riferisce al drastico aumento della prevalenza del diabete tipo 2 che si osserva nelle città a causa dell’urbanizzazione», ha chiarito Lenzi.
Vivere in un’area urbana si accompagna a cambiamenti sostanziali degli stili di vita: cambiano le abitudini alimentari e il modo di vivere, i lavori diventano sempre più sedentari, l’attività fisica diminuisce. «Numerosi studi internazionali hanno messo in risalto come esista un collegamento tra aumento di diabete tipo 2, obesità e urbanizzazione. Gli amministratori della città saranno sempre più in prima linea, nel collaborare con i medici, per contrastare questo fenomeno, che vede già oggi 2 persone con diabete su 3 vivere in un nucleo urbano, con una stima dell’International Diabetes Federation che prevede nei prossimi 25 anni questo rapporto crescere a 3 su 4», ha detto presidente AMD Domenico Mannino.
Il diabete e l’obesità, come tutte le malattie non trasmissibili, soprattutto quelle cardiovascolari, il cancro e i disturbi respiratori cronici, rappresentano oggi il principale rischio per la salute e lo sviluppo umano. «L’Organizzazione mondiale della sanità, come tutta la comunità scientifica internazionale, evidenzia quanto sia indispensabile per lo sviluppo sociale ed economico di tutti i paesi, investire nella prevenzione di queste malattie, e come questa sia una responsabilità in prima battuta dei governi, ma in realtà della società in senso più allargato. Arrestare l’aumento del diabete in ambito urbano è un’impresa difficile, ma possibile grazie alla stretta collaborazione tra politica, mondo sanitario e società civile», ha aggiunto il coordinatore dell’area Prevenzione SIMG Gerardo Medea.
Fonte: HealthDesk, redazione, 9 Novembre 2017