È uno dei dati del XII Rapporto Crea Sanità di Tor Vergata secondo cui la situazione attuale è frutto del combinato disposto del rientro economico a cui sono state costrette molte Regioni e della crisi finanziaria
La spesa sanitaria privata in Italia ha raggiunto i 36 miliardi di euro, di cui l’89,9 per cento out of pocket (cioè sostenuta direttamente dalle famiglie) e solo il 10,1 per cento intermediata dai fondi sanitari integrativi e complementari o dalle compagnie di assicurazione. Ma c’è anche un 5 per cento di famiglie che ha rinunciato alle prestazioni sanitarie private. Intanto la spesa sanitaria pubblica italiana continua a diminuire, tanto da essere diventata, nel 2015, inferiore del 36 per cento a quella degli altri Paesi dell’Europa Occidentale. È quanto emerge dal XII Rapporto Sanità del Crea Sanità dell’Università di Roma Tor Vergata appena pubblicato.
Nel Rapporto si spiega come la spesa sanitaria italiana sia complessivamente inferiore del 32,5 per cento rispetto a quella dell’Europa Occidentale, in rapporto al Pil l’Italia è al 9,4 per cento, contro il 10,4 per cento degli altri Paesi presi a confronto. Negli ultimi 10 anni la spesa sanitaria pubblica italiana è cresciuta dell’1 per cento medio annuo contro il 3,8 per cento degli altri Paesi dell’Europa Occidentale. Un trend che ha portato la spesa sanitaria pubblica pro-capite italiana a essere inferiore del 36 per cento a quella degli altri Paesi considerati. La crescita della spesa privata (2,1 per cento medio annuo) è stata invece leggermente inferiore a quella europea (2,3 per cento), ma pari a oltre il doppio rispetto a quella pubblica. La crescita della spesa privata (2,1 per cento medio annuo) è stata invece leggermente inferiore a quella europea (2,3 per cento), ma pari a oltre il doppio rispetto a quella pubblica.
Il quadro diventa ancora più allarmante se si considerano le differenze regionali. Nel 2015, fra la Regione in cui si spende di più (PA di Bolzano) e quella dove si spende meno (Calabria), il divario pro-capite ha superato il 50 per cento (quasi il 40 per cento per quanto concerne la spesa pubblica). Mentre l’incidenza della spesa privata pro-capite su quella totale è pari al 30,5 per cento in Valle d’Aosta e del 16 per cento in Sardegna. «Le differenze di spesa – spiega il Rapporto - sono andate progressivamente riducendosi fino al 2009, ma hanno poi ricominciato ad allargarsi nel periodo successivo, in corrispondenza dell’azione dei Piani di Rientro e dei commissariamenti tesi al risanamento dei deficit».
Federalismo assolto
Un risultato positivo, però, c’è stato. Almeno in parte.
«Dopo l’intervento dei Piani di rientro il disavanzo sanitario si è ridotto di circa il 78,0 per cento, realizzando di fatto il risanamento finanziario che era il primo obiettivo delle riforme in senso federalista dello Stato», osserva il Crea Sanità. Che evidenzia come siano «in miglioramento» anche gli indici di adempimento regionale sui LEA e attribuisce un giudizio «tendenzialmente positivo» riguardo agli effetti del federalismo in sanità.
Proprio agli effetti del federalismo in sanità gli economisti di Tor Vergata dedicano ampio spazio nel Rapporto. Anche per cercare di capire quanto il risultato di sostanziale pareggio di bilancio possa ritenersi solido. «Si è infatti realizzato con una contrazione senza pari della crescita della spesa pubblica».
Un risultato che quindi rischia di poter essere duraturo «solo al prezzo di tagliare i livelli delle prestazioni».
Per gli economisti del Crea Sanità le difficoltà del Ssn di rispondere ai bisogni di salute dei cittadini e le disparità, in questo senso, tra le Regione non possono essere addossate al federalismo. «Negli ultimi anni le inadempienze alle griglie LEA si sono ridotte, come anche non si vedono peggioramenti sistematici sul versante del Programma Nazionale Esiti. Anche sul versante dell’applicazione delle norme di programmazione le cose vanno meglio che nei decenni passati», così come si sono «ridotte» le disparita regionali in termini di offerta ospedaliera.
Per il Crea Sanità «è del tutto presumibile che il riallargarsi delle differenze dipenda dal combinato disposto del rientro delle Regioni del Sud dal disavanzo, della loro minore capacità fiscale e dalla crisi finanziaria che dal 2009 ha ulteriormente ridotto la capacita delle famiglie più fragili di “complementare” la spesa pubblica».
Il Rapporto evidenzia, quindi, come la spesa privata sanitaria rappresenti mediamente il 26,9 per cento della spesa nel Centro-Nord (valore massimo del 30,5 per cento in Valle d’Aosta seguita dal Veneto con il 29,5 per cento) e solamente il 18,9 per cento nel Sud (valore minimo del 16,0 per cento in Sardegna).
Per il Crea Tor Vergata, in definitiva, «il sistema italiano ha dimostrato una grande capacità di resilienza; accusare il Federalismo dei mali residui della Sanità italiana, che poi sono effetti derivanti dalle note e irrisolte “questioni” della Società italiana (prima di tutto la questione meridionale e poi quella fiscale) è almeno ingeneroso». E «pensare che riaccentrare il potere in Sanità sia la panacea di tutti mali è aspettativa miope, destinata a infrangersi sull’evidenza di quelli che sono i veri nodi al pettine per garantire la durabilità del SSN: prima di tutto la capacità di governare la ricerca di una coerenza fra aspettative e risorse, salvaguardando allo stesso tempo l’equità complessiva delle risposte pubbliche; per ottenere ciò va governata la transizione del SSN, da attore unico capace di fornire una risposta globale, ad attore compartecipe e integrato di un sistema complesso composto da offerte diversificate. Questo pone la necessità di una diversa vision sul ruolo del SSN e nuove regole per governare l’integrazione dei diversi attori che si affacciano sul mercato».
Poveri per la salute
In generale, in Italia crescono le famiglie che effettuano spese sanitarie out of pocket (il 77 per cento nel 2014 contro il 58 per cento nel 2013); la maggiore frequenza del ricorso a spese private, è però “compensata” dalla riduzione della spesa effettiva pro-capite.
Il 5,0 per cento delle famiglie residenti in Italia, soprattutto quelle del Centro e del Sud, nonché quelle dei quintili di consumo medio-bassi, ha dichiarato di aver ridotto, tanto da averle annullate, le spese sanitarie private: configurando così “nuove” rinunce alle spese sanitarie.
La gran parte della spesa è da attribuire a farmaci, visite ed esami diagnostici (80-90%).
«Sardegna e Sicilia – spiega il Crea Sanità - risultano essere le Regioni con la maggior incidenza di disagio economico per spese sanitarie (11,0 per cento e il 9,6 per cento delle famiglie); all’estremo opposto troviamo l’Emilia Romagna e il Trentino Alto Adige, dove solo il 2,6 per cento ed il 2,1 per cento sono in condizioni di disagio economico. Sono 316.402 (1,2 per cento) i nuclei familiari impoveritisi per spese sanitarie out of pocket; si tratta soprattutto di famiglie residenti nel Mezzogiorno (2,7 per cento). Calabria, Sicilia e Abruzzo sono le Regioni più colpite (3,5 per cento, 3,4 per cento e 3,7 per cento), mentre Trentino Alto Adige, Piemonte ed Emilia Romagna sono le meno esposte (0,2 per cento le prime due e 0,3 per cento la terza)».
Quasi 800.000 (781.108) sono invece le famiglie soggette a spese sanitarie catastrofiche (3,1 per cento delle residenti). Il Mezzogiorno continua ad essere la ripartizione maggiormente esposta al fenomeno (5,5 per cento delle famiglie ivi residenti).
«I fenomeni dell’impoverimento per spese sanitarie out of pocket e della catastroficità non sembrano quindi essersi modificati sostanzialmente, senza però sottovalutare che ci sono quasi 280.000 famiglie (l’1,4 per cento di quelli che sostengono spese sanitarie out of pocket) ad alto rischio di impoverimento. Di conseguenza in prospettiva c’è il rischio che il fenomeno del disagio raddoppi la sua portata», è l’allarme del Crea Sanità.
Il governo della spesa privata e la sanità integrativa
Come accennato, la spesa sanitaria privata intermediata rappresenta solo il 10,1 per cento della spesa privata: «Una quota inferiore alle medie europee, che implica forti sperequazioni nelle possibilità di accesso», afferma il Crea Sanità.
Per il 4,0 per cento si tratta di spesa per polizze individuali e il restante 6,1 per cento per polizze collettive (Fondi sanitari integrativi e complementari, Società di Mutuo Soccorso, etc.).
Nel rapporto si evidenzia come cresca la diffusione delle polizze collettive, inserite ormai nella maggior parte dei rinnovi contrattuali aziendali: «Sebbene ciò determini una maggiore equità, in assenza di una vision nazionale sul tema della Sanità integrativa e complementare, il minore sviluppo di tale componente nelle Regioni del Mezzogiorno rischia di esasperare ulteriormente le differenze già esistenti», si legge nel rapporto.
Infatti, mentre la componente intermediata rappresenta il 13,4 per cento della spesa privata nel Nord (17,3 per cento nel Nord Ovest e 8,0 per cento nel Nord Est), e il 10,7 per cento nel Centro, nel Sud e Isole è appena il 3,3 per cento (ovvero circa un quarto di quella delle altre ripartizioni).
Per il Crea Sanità «il Meridione, in assenza di politiche di sensibilizzazione e incentivazione, rischia quindi di rimanere escluso dallo sviluppo del secondo pilastro di Welfare sanitario, rendendo sempre meno sostenibile l’assistenza».
Finanziamento dei Ssr e demografia
Le previsioni sull’evoluzione della struttura per età della popolazione al 2035 indicano che le Regioni del Sud diventeranno presto più vecchie di quelle del Nord: questo implica che in prospettiva riceveranno, in costanza delle normative attuali, un finanziamento pro-capite maggiore. Ma contemporaneamente l’incremento della popolazione sarà molto più rilevante nel Nord e, come conseguenza, il finanziamento si sposterà ulteriormente verso il Nord: dalle simulazioni effettuate, la quota delle risorse per la Sanità attribuita al Nord, che attualmente è pari al 46,1 per cento, raggiungerà il 47,8 per cento; di contro, quella del Sud dal 33,8 per cento si contrarrà al 31,7 per cento.
Per il Crea Sanità, «senza, quindi, una ulteriore drastica riallocazione dell’offerta, o in alternativa una rivisitazione delle regole di riparto, non sarà possibile mantenere gli attuali equilibri di bilancio».
La fine dell’equilibrio nella farmaceutica
«Con il 2015 – avverte il Rapporto - si è rotto l’equilibrio che ha permesso anni di sostanziale costanza della spesa farmaceutica: equilibrio finora garantito dalla compensazione degli incrementi della spesa ospedaliera, con la riduzione di quella territoriale».
La spesa pro-capite per farmaci in Italia, nel 2015, è risultata pari a 475,8€ (ovvero all’1,9 per cento del PIL), con un incremento di € 37,6 (+8,6 per cento) rispetto al 2014. Sul fronte ospedaliero, dove si concentra ormai l’impatto economico dell’accesso dei farmaci innovativi, la spesa è aumentata del 9,3 per cento.
Rispettano il tetto di spesa solamente le due Province Autonome di Trento e Bolzano, la Valle d’Aosta e il Veneto; lo sforano maggiormente Sardegna di € 104,6 pro-capite, e Puglia di € 71,6 pro-capite.
Il rispetto dei tetti, però, è reso possibile dalla crescente quota di farmaci rimborsabili che le famiglie decidono di pagare di tasca propria: qualora considerassimo tale spesa, anche il Veneto sforerebbe il tetto, la Provincia Autonoma di Bolzano andrebbe a pareggio e quella di Trento si manterrebbe comunque al di sotto. Liguria, Lazio e Friuli Venezia Giulia sono le Regioni che vedrebbero aumentare maggiormente il proprio sforamento.
Per gli economisti del Crea Sanità «serve quindi una nuova governance per il settore, ed è auspicabile un superamento degli attuali tetti (al di là delle proposte di rimodulazione in discussione), che appaiono ormai non più sostenibili».
Spesa farmaceutica privata
La spesa farmaceutica a carico dei cittadini ha registrato un incremento del 2,8 per cento rispetto al 2014. Crescono tutte le voci della farmaceutica privata: spesa per i medicinali di automedicazione +4,7 per cento, medicinali di fascia A acquistati direttamente +3,1 per cento, medicinali di classe C con ricetta +2,0 per cento, e compartecipazione da parte del cittadino +1,4 per cento.
Si evidenzia quindi una crescente complementazione a carico delle famiglie della spesa farmaceutica, non più riferibile tanto all’inasprimento dei ticket, quanto al ricorso a farmaci non inclusi nei LEA o alla decisione di non avvalersi del rimborso da parte del SSN.
La spesa per la prevenzione
Il dato sulla spesa per programmi di prevenzione pubblica in Italia fornito dall’OECD cambia ancora una volta: secondo le ultime stime, per l’anno 2014 siamo al 4,9 per cento della spesa pubblica corrente, un valore molto prossimo al 5 per cento, quota attribuita al LEA dell’Assistenza collettiva.
«Sebbene il dato sia da considerarsi con le dovute cautele (per problemi di confrontabilità fra i Paesi e anche per discontinuità nella serie storica) – spiega il Crea Sanità -, l’Italia sembrerebbe investire in prevenzione una quota maggiore rispetto agli altri Paesi dell’Europa Occidentale: ma in termini pro-capite, la spesa (88,9€) resta inferiore a quella di altri Paesi quali Regno Unito, Germania, Lussemburgo, Danimarca, Olanda e Svezia».
Con riferimento alla spesa per vaccini, secondo OsMed, in Italia nel 2015 sono stati spesi € 317,9 milioni, pari a 5,2€ pro-capite: in leggero aumento rispetto al 2014 (€ 4,8). Per confronto a livello internazionale (osservando i dati, provenienti da varie fonti, con le dovute cautele), si va da € 19 pro-capite della Svezia (dato 2013) a 2,3€ dell’Ungheria.
Il problema delle coperture vaccinali
I dati sulle coperture vaccinali pediatriche diffusi dal Ministero della Salute confermano, per il 2015, una diminuzione sia delle vaccinazioni obbligatorie sia di quelle raccomandate; tuttavia, in queste ultime il calo è meno marcato rispetto a quanto registrato nei due anni precedenti. Le uniche coperture vaccinali a mostrare un incremento sono quelle contro pneumococco e meningococco C.
A livello nazionale per nessun antigene le coperture a 24 mesi raggiungono la soglia del 95,0 per cento.
A livello territoriale, raggiungono e superano il 95,0 per cento di copertura contro Polio, Difterite, Tetano, Pertosse, Epatite B, Hiv solo Lazio, Abruzzo, Basilicata, Calabria e Sardegna. Sono invece 14 le Regioni con una copertura inferiore al 95,0 per cento per tutti gli antigeni.
Con riferimento alle coperture vaccinali contro l’influenza stagionale negli anziani over65, nella stagione 2015-2016 si registra a livello nazionale un aumento di 1,3 punti percentuali (arrivando a 49,9 per cento) rispetto alla stagione precedente, valore ancora distante dal 55,4 per cento registrato nel 2013-2014. Nessuna Regione raggiunge comunque la soglia di copertura minima del 75,0 per cento.
Fonte: HD HealthDesk, redazione, 15 Dicembre 2016