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La persona con disabilità al centro nella ricerca di CBM Italia sul nesso tra disabilità e povertà nelle famiglie italiane

La persona con disabilità sempre al centro: questa è l’origine e la conclusione della ricerca “Disabilità e povertà nelle famiglie italiane” che come CBM Italia abbiamo realizzato, mossi dall’osservazione della realtà del nostro Paese, dove vivono 3 milioni di persone con disabilità (dato Istat 2021) e 5,7 milioni di persone residenti sono in povertà assoluta (Istat 2023) e dove non esisteva fino a oggi uno studio strutturato sul nesso fra disabilità e impoverimento.

06 Luglio 2024

La persona con disabilità sempre al centro: questa è l’origine e la conclusione della ricerca “Disabilità e povertà nelle famiglie italiane” che come CBM Italia abbiamo realizzato, mossi dall’osservazione della realtà del nostro Paese, dove vivono 3 milioni di persone con disabilità (dato Istat 2021) e 5,7 milioni di persone residenti sono in povertà assoluta (Istat 2023) e dove non esisteva fino a oggi uno studio strutturato sul nesso fra disabilità e impoverimento. Un nesso evidente nei Paesi in via di sviluppo – dove si concentra l’80% delle persone con disabilità di tutto il mondo, che sono 1,3 miliardi (dati Oms) – e dove CBM opera dal 1908 come organizzazione internazionale per contribuire a una migliore qualità di vita delle persone con disabilità attraverso progetti di salute, educazione, lavoro e promozione dei diritti. Proprio in questi Paesi le persone con disabilità e le loro famiglie presentano un maggiore rischio di povertà ed esclusione sociale; e le persone che vivono in una condizione di povertà rischiano maggiormente di avere una disabilità. Da qui la conferma di un nesso fra disabilità e povertà che genera un circolo vizioso in cui una alimenta l’altra e viceversa. Il nostro impegno è interrompere questo ciclo. Lavorando dal 2019 anche in Italia – con interventi rivolti a rafforzare la cultura dell’inclusione e osservando una povertà in aumento, intesa nella sua multidimensionalità e quindi economica ma anche abitativa, lavorativa, culturale, sociale – ci siamo posti una domanda urgente: esiste anche nel nostro Paese un legame fra disabilità e povertà? È nata così l’esigenza di condurre uno studio di carattere sociale sulle famiglie italiane, capace di offrire piste di intervento per innovare l’attuale sistema di welfare. È stato quindi naturale coinvolgere il Centro studi e ricerca sociale Fondazione Emanuela Zancan, fondato da don Giovanni Nervo, fondatore e primo presidente della Caritas italiana.

La ricerca. La ricerca nasce dunque per quantificare la dimensione del fenomeno povertà fra le persone con disabilità e le loro famiglie, approfondendo le connessioni esistenti fra condizione di disabilità e impoverimento economico e culturale. Ma più che un’analisi statistica, si è trattato di un ascolto: abbiamo dato parola alle tante persone e famiglie che si sono rese disponibili a raccontarsi, usando una metodologia di indagine sia quantitativa che qualitativa. Il campione è di circa 300 persone con disabilità che vivono in famiglia, residenti in Italia, 9 su 10 con cittadinanza italiana, di età compresa fra i 14 e 55 anni e in una situazione di disagio socioeconomico; prima abbiamo sottoposto un questionario e poi l’intervista personale e dedicata.

Emergono delle importanti evidenze che sottolineano come sia necessario mettere sempre al centro la persona con disabilità e la sua famiglia, uscendo dalla logica assistenzialistica e medico-sanitaria nella quale spesso sono relegate le persone con disabilità, per garantire il diritto di ognuno di scegliere il proprio progetto di vita.
Quattro sono le direzioni di azione che la ricerca propone. Creare le condizioni per abbattere i muri che isolano è la prima. I muri sono relazionali, istituzionali, di contesto socio ambientale e, non ultimi, quelli legati a una mancanza di conoscenza dei diritti e delle opportunità che il sistema di welfare offre. La seconda indicazione riguarda l’investimento in servizi che siano promotori di umanità, per rispondere alla richiesta di umanizzazione degli interventi che superi le risposte standardizzate. La terza mette l’accento sul riconoscere e valorizzare la capacità di ogni persona con disabilità insieme alla sua famiglia: pur nelle mille difficoltà, esse infatti rivelano capacità di generare, almeno in termini relazionali, benefici per gli altri. E le ricadute positive sul piano culturale e pratico sono evidenti, superando lo stigma sociale e rafforzando le opportunità di inclusione sociale e lavorativa. Infine la quarta indicazione è di promuovere opportunità inclusive per garantire un vero progetto di vita che consenta l’autorealizzazione; questo apre il grande capitolo del durante e dopo di noi che va costruito nel tempo facendo attenzione a facilitare i passaggi dal vivere in famiglia verso altri contesti di vita, investendo sia sulla dimensione relazionale che su quella lavorativa.
Il nostro desiderio è che questa ricerca possa essere uno strumento di supporto per tutti coloro che lavorano per ideare interventi di welfare sociale e lavorativo, per aumentare la consapevolezza dei diritti delle persone con disabilità in linea con la Convenzione delle Nazioni Unite e per promuovere una vera cultura della inclusione, radicandosi nei valori sanciti dall’articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza discriminazione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Fonte: Sole 24 Ore sanità articolo di Massimo Maggio * 29 maggio 2024

* direttore CBM Italia

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