Nonostante le tante terapie disponibili, l’ipertensione rimane il principale fattore di rischio per malattie cardiovascolari, con una prevalenza stimata tra il 30-40% nella popolazione europea. Rappresenta il fattore di rischio correlato maggiormente a eventi cardiovascolari (infarto, ictus, emorragia, scompenso cardiaco ecc).
L’ipertensione arteriosa è definita da valori di pressione sistolica ≥140 mmHg e/o di pressione diastolica (PAD) ≥90 mmHg, sulla base dei dati di numerosi studi clinici in cui i pazienti che presentavano tali valori pressori, traevano beneficio dalla riduzione pressoria indotta dal trattamento. A seconda dei valori di pressione arteriosa, l’ipertensione arteriosa può essere classificata e definita in vari gradi:
Classificazione della pressione arteriosa clinica
Come suggerito dalle linee guida Europee e Americane, viene raccomandata la misurazione out of office, quindi preferibilmente fuori dall’ambiente medico. La misurazione domiciliare può dare un valido contributo nella gestione del paziente, con probabile o possibile reazione di allarme nello studio del medico, con un impatto quindi nullo nel sistema sanitario. Questo determina anche una maggiore responsabilizzazione del paziente sulla diagnosi e sul monitoraggio dell’ipertensione stessa; misurazioni ripetute della pressione domiciliare sono sconsigliate in pazienti eccessivamente ansiosi, poiché possono determinare un’eccessiva reazione di allarme. Il monitoraggio delle 24 h, come l’holter pressorio, fornisce numerosi dati aggiuntivi, quali la pressione arteriosa notturna e la sua variazione circadiana. Questo permette di riconoscere il normale calo della pressione nelle ore notturne (dipping con calo tra il 10 e il 20 %), chi non presenta questo fisiologico calo (non dippers inferiore al 10%), chi lo presenta in eccesso (extremedippers> 20%), e chi invece presenta valori notturni più elevati rispetto all’intera giornata (reverse dipping).
In questa ultima tipologia di pazienti si ha un rischio doppio di malattie cardiovascolari. In questi soggetti bisogna porre attenzione a eventuale presenza concomitante di disturbi del sonno, come le apnee notturne, che potrebbero spiegare questi pattern e che sono ben noti fattori di rischio cardiovascolari.
Ipertensione e danno d’organo
L’ipertensione arteriosa si associa frequentemente allo sviluppo e alla progressione di alterazioni strutturali e funzionali a livello dei cosiddetti organi bersaglio, tra cui cuore, rene e cervello. La presenza di tali alterazioni modifica il profilo di rischio cardiovascolare globale dei pazienti affetti da ipertensione arteriosa, conferendo un profilo di rischio elevato, indipendentemente dai valori di pressione arteriosamisurati. Per tale motivo, le linee guida europee, raccomandano di eseguire la ricerca del danno d’organo in tutti i pazienti affetti da ipertensione arteriosa, sia da un punto di vista diagnostico al fine di caratterizzare meglio il profilo di rischio cardiovascolare globale individuale, sia da un punto di vista terapeutico al fine di guidare la scelta della migliore strategia farmacologica antipertensiva. Molto spesso il paziente con iniziale danno d’organo risulta asintomatico, in ogni caso il rischio cardiovascolare risulta più elevato quanti più organi sono interessati da tale complicanza. Ciò può essere considerato un indicatore preclinico di malattia cardiovascolare, di riscontro tanto più frequente quanto maggiore è il ricorso a esami strumentali come l’ecocardiogramma e l’ecodoppler delle carotidi.
I primi processi alla base del danno d’organo causato dall’ipertensione sono l’incremento della rigidità delle arterie e il danno all’endotelio, cioè il tessuto di cellule che riveste la parte interna dei vasi.
Il concetto della rigidità arteriosa riguarda i vasi con maggiore elasticità, primi tra tutti l’aorta.
Per rigidità arteriosa si intende la ridotta distensibilità dei vasi arteriosi che nel caso delle arterie centrali di grosso calibro (aorta, carotidi) riflette sia complesse variazioni strutturali, come la deposizione di collagene, sia alterazioni della funzione endoteliale. Dirette conseguenze dell’irrigidimento sono la perdita della funzione di “cuscinetto” delle arterie. I tessuti cardiaco e cerebrale, per le loro caratteristiche anatomiche, sono più esposti alle conseguenze emodinamiche dell’irrigidimento arterioso, quali l’aumentata pressione differenziale e la ridotta perfusione coronarica.
Scheda University of Colorado Boulder
Durante la contrazione del ventricolo sinistro una parte dell’energia prodotta, viene immagazzinata nella parete dell’aorta e delle arterie principali, quando il ventricolo sinistro si rilascia (fase diastolica) quindi non esercita più la sua funzione di pompa, l’energia immagazzinata nelle pareti arteriose viene rilasciata, consentendo di proseguire la spinta del sangue in avanti verso i tessuti periferici, garantendo così un flusso continuo necessario all’apporto di ossigeno in organi e tessuti. Da ciò, si evince come l’onda di pressione sia generata dalla sommatoria della pressione anterograda, data dalla contrazione del ventricolo sinistro e da quella riflessa, detta anche onda di ritorno determinata dall’impatto della prima sulla resistenza delle arterie. Una maggiore rigidità arteriosa determina quindi un aumento dell’onda di ritorno, causando un incremento del picco pressorio e un aumento della pressione arteriosa centrale.
Gli esami di base per la valutazione di un iniziale danno d’organo nei pazienti ipertesi dovrebbero comprendere:
Quando e come iniziare la terapia anti-ipertensiva
Nei pazienti con un elevato rischio cardiovascolare, cioè con patologia cardiaca già nota, è plausibile l’inizio di una terapia anti-ipertensiva anche con valori poco sopra la norma, lo stesso vale per i soggetti di età compresa tra 65 e 80 anni. Resta dato imprescindibile che la prima terapia in assoluto, è rappresentata dalle modifiche dello stile di vita. Intraprendere e mantenere un corretto stile di vita, consente di rimanere in buona forma fisica e prevenire l’insorgenza di ipertensione, ma anche di ridurre di alcuni punti i valori di pressione, qualora questa patologia fosse già manifesta. Quin in breve un elenco dei fattori modificabili nello stile di vita, da cui trarre giovamento in termini di mantenimento della pressione arteriosa:
Terapia farmacologica
La maggior parte dei pazienti richiede, oltre alle modifiche dello stile di vita, l’inizio di una terapia farmacologica. Non tratteremo i vari farmaci presenti nel panorama ipertensivo anche per complessità, ma mi limito a dire che oggi si riconoscono numerose classi farmacologiche efficaci nel trattamento dell’ipertensione arteriosa, anche di grado severo.
Una condizione di ipertensione arteriosa prolungata nel tempo e non curata in modo adeguato, può portare ad aterosclerosi, infarto del miocardio, ictus, emorragia, scompenso cardiaco.
L’aterosclerosi può causare anche il restringimento dei vasi che irrorano gli occhi, causando una condizione nota come retinopatia ipertensiva da cui derivano problemi della vista.
Da tutto ciò si evince come, per le malattie cardiovascolari, in questo caso l’ipertensione, la prevenzione, la modifica dello stile di vita e il trattamento farmacologico stesso, rappresentino una chiave di volta fondamentale per la riduzione della mortalità.