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La fibrillazione atriale è responsabile di circa un ictus cerebrale su cinque; e siccome gli italiani con questa aritmia cardiaca sono circa un milione, basta fare un semplice calcolo per rendersi conto di quanto pericolosa sia la relazione tra i due; anche perché l’ictus causato da Fa tende a essere più grave poiché l’embolo che parte dal cuore chiude arterie di calibro maggiore, con un danno ischemico a porzioni più estese di cervello. Dell'argomento si è parlato il 29 ottobre a Roma, in un incontro promosso dall’European Brain Council e Alice Italia Onlus (Associazione per la Lotta all’ictus cerebrale), con il contributo di Bristol-Myers Squibb e Pfizer, in occasione della Giornata mondiale contro l’ictus cerebrale.
«L’ictus rappresenta la prima causa di morte e la terza di invalidità: sono 200 mila gli italiani che ogni anno ne vengono colpiti – ricorda Gian Luigi Gigli, coordinatore dell’Intergruppo parlamentare sui problemi sociali dell’ictus - e oltre la metà di questi rimane con problemi di disabilità grave». L’impatto di questa patologia, sottolinea, è «particolarmente gravoso: il costo medio annuo a paziente con disabilità grave per famiglia e collettività, escludendo i costi a carico del Ssn, è di circa 30 mila euro, per un totale di circa 14 miliardi di euro l’anno». Per di più, si prevede che la prevalenza della Fa, attualmente all’1,5-2% della popolazione generale (ma al di sopra degli 85 anni interessa quasi una persona su cinque), sia destinata ad aumentare, passando da 6,3 milioni nel 2007 a 7,5 milioni nel 2017.
«Chi è affetto da Fa vede aumentare di quattro volte il rischio di ictus tromboembolico – osserva Filippo Crea, direttore del Dipartimento di Scienze cardiovascolari al Policlinico Gemelli, Università Cattolica di Roma - che risulta in genere molto grave e invalidante; questa forma di ictus determina una mortalità del 30% entro i primi tre mesi dall’evento e lascia esiti invalidanti in almeno il 50% dei pazienti». Per questo, aggiunge, «è di fondamentale importanza “intercettare” più rapidamente possibile i pazienti con Fa». Particolarmente penalizzate sono le donne, che, come ricorda Valeria Caso, neurologa dell’ospedale S. Maria della Misericordia di Perugia e presidente eletto dell'Eso, l'European stroke organization, hanno un rischio più alto di ictus rispetto agli uomini: la prevalenza tra loro è infatti del 41% a fronte del 33% negli uomini e si stima che una donna su cinque possa andare incontro a ictus nel corso della propria vita, rispetto a un uomo su sei. E, tanto per dare un'idea, la donna ha una maggiore probabilità di morire di ictus che di tumore alla mammella.
Nel trattamento dell'ictus è fondamentale la gestione dei pazienti in quelle che la moda anglofona definisce Stroke Unit, termine che Danilo Toni, responsabile di quella del Policlinico Umberto I di Roma, chiede di sostituire con Unità ictus o cerebrovascolari, non tanto per una questione di difesa della lingua quanto per essere compresi anche da coloro che non si nutrono tutti i giorni di inglese o Medicina. Secondo il decreto del ministro Lorenzin dello scorso giugno, ricorda Toni, in Italia dovrebbe esserci un centro ictus di primo livello (dove poter fare la trombolisi intravenosa) ogni 150 mila-300 mila abitanti e un centro di secondo livello (dove poter fare oltre alla trombolisi intravenosa anche la trombectomia meccanica) ogni 600 mila-1.200.000 abitanti. «Globalmente, quindi, dovremmo avere circa 300 centri – calcola Toni - di cui circa 240 di primo livello e circa 60 di secondo livello. Attualmente, invece, abbiamo in tutto 175 centri, fra i quali 53 hanno strutture per poter effettuare i trattamenti endovascolari». E oltretutto hanno anche una distribuzione disomogenea sul territorio.
«L’obiettivo dell’Associazione – spiega infine Francesco Gaballo, vicepresidente di Alice Italia Onlus – è quello di ridurre le conseguenze devastanti dell’ictus cerebrale, migliorare la qualità della vita delle persona colpite da ictus, dei loro familiari e delle persone a rischio, cercando di diffondere le conoscenze necessarie per la prevenzione della malattia e di informare sulla sua diagnosi, cura e riabilitazione. Un importante obiettivo da perseguire – conclude - è che sia l’ictus sia la fibrillazione atriale vengano inseriti nell’agenda istituzionale».
Fonte: HD HealthDesk Redazione - 29 Ottobre 2015