L'allarme delle società scientifiche: fra il 2019 e il 2022, 11 mila medici hanno lasciato le strutture pubbliche e l’esodo continua inesorabile.
L'allarme delle società scientifiche: fra il 2019 e il 2022, 11 mila medici hanno lasciato le strutture pubbliche e l’esodo continua inesorabile. In un decennio sono stati chiusi 95 ospedali e diminuiscono anche i posti letto: 32.500 in meno tra il 2020 e il 2022. E le risorse sono sempre meno
In appena due anni negli ospedali italiani stati tagliati 32.508 posti letto: erano 257.977 nel 2020, ridotti a 225.469 nel 2022. Si stima che complessivamente ne manchino almeno 100 mila di degenza ordinaria e 12 mila di terapia intensiva. Diminuisce anche il numero dei nosocomi: in dieci anni ne sono stati chiusi 95, il 9%: nel 2012 erano 1.091, nel 2022 sono calati a 996, con una riduzione più consistente per quelli pubblici (67 in meno, da 578 a 511). Come se non bastasse, entro il 2025 andranno in pensione 29 mila camici bianchi e 21 mila infermieri, senza un sufficiente inserimento di nuovi professionisti. D'altra parte, circa 11 mila medici ospedalieri non in età da pensione hanno già scelto di lasciare le strutture pubbliche fra il 2019 e il 2022. L’età media dei medici italiani è sempre più alta, con ben il 56% che ha più di 55 anni rispetto al 14% della Gran Bretagna e percentuali anche più basse in altri Paesi. Inoltre, nel 2024 il finanziamento del Fondo sanitario nazionale è aumentato in termini assoluti rispetto al 2021, ma è diminuito rispetto al Prodotto interno lordo, oltretutto eroso in modo consistente dalla maggiore inflazione. Queste risorse, peraltro, sono state in larga parte utilizzate per aumenti contrattuali del personale che però non sono in grado di contenere l’esodo dei medici.
Insomma, liste d’attesa, mancanza di medici, di ospedali e di posti letto, concorsi deserti, specializzazioni senza iscritti, progressivo definanziamento mettono a rischio il nostro Servizio sanitario nazionale, i principi che ne sono alle fondamenta e, con essi, lo stesso rispetto dell’articolo 32 della Costituzione.
Di questo si è parlato giovedì 18 aprile a Roma nella sede della rappresentanza in Italia del Parlamento e della Commissione europea, in una conferenza stampa, promossa dalle 75 Società scientifiche riunite nel Forum delle società scientifiche dei clinici ospedalieri ed universitari italiani (Fossc), che chiedono al Governo una riforma strutturale del sistema sanitario italiano, con provvedimenti urgenti per salvare il Ssn e mantenere il suo carattere universalistico.
«Dodici Regioni su 21 - sottolinea Francesco Cognetti, coordinatore del Forum - non garantiscono non la totalità, ma neppure la minima sufficienza dei Livelli essenziali di assistenza, i Lea, cioè le cure considerate fondamentali. La maggioranza presenta infatti valori sotto la soglia in almeno una delle tre macroaree prese in esame: prevenzione, assistenza sul territorio e ospedale. E si tratta dei Lea attualmente in vigore – precisa Cognetti - che risalgono addirittura al Dpcm 29 novembre 2001 o, meglio, ai Dm del 1996 e 1999, aggiornati con il Dpcm 12 gennaio 2017, ma mai attuati».
Le Società scientifiche riunite nel Forum osservano come i nuovi Lea, pur pubblicati ad agosto 2023, siano stati rinviati al 2025 per carenza di risorse e chiedono come sia possibile solo pensare in queste condizioni al varo della legge sull’Autonomia differenziata.
Per risolvere le gravi criticità della sanità pubblica, secondo il Fossc è urgente varare una riforma strutturale degli ospedali, con lo stanziamento di risorse davvero adeguate per rispondere ai principali parametri in vigore negli altri Paesi europei e con la vera realizzazione delle reti territoriali per patologie.
«Va anche osservato – aggiunge Cognetti - che tutti i Paesi europei, durante la pandemia, hanno prodotto aumenti del finanziamento pubblico alla sanità nettamente superiori al nostro. Dal 2012 al 2021 l’incremento per l’Italia è stato solo del 6,4%, rispetto al 33% della Germania, al 24,7% della Francia e al 21,2% della Spagna».
Negli ultimi 10-12 anni, i precedenti Governi hanno operato tagli ai finanziamenti e quello attuale sembra procedere sulla stessa china: nel 2024, come indicato nel Documento di Economia e finanza del ministero dell’Economia, il Fondo sanitario nazionale si attesta solo al 6,4% rispetto al Pil, con la previsione di un’ulteriore diminuzione al 6,3% nel 2025 e 2026, fino al 6,2% nel 2027. Al netto dell’inflazione, quest’anno risulta addirittura una diminuzione delle risorse pubbliche destinate alla sanità del 6,2% rispetto al 2021.
«Una tendenza preoccupante – sottolinea il Fossc - visto che l’OCSE per i Paesi che investono poche risorse in sanità come l’Italia prevede un auspicabile investimento pari ad almeno l’1,4% in più rispetto al Pil 2021, che equivale ad un aumento annuo di ben 25 miliardi di euro».
Una delle conseguenze è che la spesa sostenuta da parte dei privati cittadini per la propria salute è in continua crescita, raggiungendo nel 2022 la cifra di 41 miliardi e 500 milioni di euro, in vistoso incremento rispetto agli 8-12 miliardi degli anni precedenti; un valore doppio rispetto a Francia e Germania, che equivale al 24% della spesa complessiva (171 miliardi e 867 milioni).
Come ha evidenziato anche la Corte dei Conti, sostengono le Società scientifiche, la crisi del Servizio sanitario nazionale non garantisce più alla popolazione un’effettiva equità di accesso alle prestazioni sanitarie, con intuibili conseguenze sulla salute delle persone e pesante aumento della spesa privata.
Serve allora «una grande riforma di sistema – auspicano - che tenga conto delle diversità dei bisogni di salute, del progresso delle tecnologie e dell’organizzazione degli ospedali». Per affrontare e cominciare a risolvere tutti questi problemi, ricorda Il Fossc, nel giugno 2023 era stato dato avvio, al ministero della Salute, a un Tavolo tecnico, a cui il Forum «ha offerto un contributo immediato e fattivo con la presentazione di documenti, analisi e proposte che, purtroppo, non hanno ancora ricevuto accoglienza».
Sono necessari più investimenti anche in prevenzione. Ma le percentuali di cittadini che aderiscono agli screening oncologici sono circa il 40% per la mammografia e per il Pap Test o l’Hpv test e inferiori al 30% per lo screening colorettale: percentuali ben lontane da quelle indicate dall’Unione europea, che chiede a tutti i Paesi membri di raggiungere, entro il 2025, il livello del 90% di adesione per tutti e tre i programmi.
Deserti sanitari
Intanto Cittadinanzattiva lancia l'allarme: molte aree del Paese rischiano di andare incontro a una desertificazione sanitaria, cioè il progressivo impoverimento di personale sanitario, medici e infermieri in particolare, nei territori: un fenomeno testimoniato dalle sempre più frequenti notizie riportate dalle cronache locali. L'occasione è
«La carenza di servizi sul territorio, la penuria di alcune specifiche figure professionali, la distanza dai luoghi di salute in particolare nelle aree interne del Paese, periferiche e ultraperiferiche, rappresenta un elemento di disequità nell’accesso alle cure e alle prestazioni che va affrontato attraverso un’alleanza tra Istituzioni, professioni sanitarie e cittadini per elaborare proposte in vista dell’adozione di politiche pubbliche che contrastino il fenomeno e favoriscano un godimento effettivo del diritto alla salute da parte di tutti i cittadini, ovunque essi risiedano», rileva Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva. «Anche in questa ottica – prosegue - stiamo continuando a monitorare la realizzazione delle Case e degli Ospedali di comunità, previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, in particolare in relazione ai bisogni delle comunità stesse in cui Case e Ospedali sono previsti».
La Giornata europea dei diritti del malato «è un’occasione preziosa – sostiene Beatrice Covassi, componente della Commissione parlamentare europea per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare - che ci chiama tutti ad agire sul tema del diritto alla salute. Assistiamo anche in Italia a un crescente fenomeno di desertificazione sanitaria, da tempo evidenziato da Cittadinanzattiva, dove a insufficienti risorse economiche si aggiunge il problema della carenza e della formazione del personale medico sanitario. Dopo l’emergenza da Covid-19 dall’Europa arriva una forte spinta per mettere la salute al centro anche in chiave comunitaria. La prossima legislatura deve andare avanti su questa strada. Dobbiamo garantire una solidarietà intergenerazionale, difendendo e proteggendo la salute pubblica nelle trasformazioni demografiche che viviamo».
Le preoccupazioni sulla disponibilità di medici di medicina generale sono aggravate, come emerge dalla ricerca Oasis, dal loro profilo di età, uno dei più alti in Europa. Oltre il 55% dei medici ha più di 55 anni di età e oltre un quarto raggiungerà l’età pensionabile entro il 2027. Inoltre, sebbene il numero di infermieri sia aumentato gradualmente nell’ultimo decennio arrivando a 6,2 per mille abitanti, nel 2021 l’Italia è ancora notevolmente l'8,5 della media europea.
Infermieri e medici che lasciano il lavoro. Dal progetto europeo Meteor (realizzato in Belgio, Paesi Bassi, Polonia e Italia) emerge che il 16% dei medici e l’8% degli infermieri intende lasciare il proprio ospedale e, a percentuali invertite, addirittura la professione (9% dei medici e 14% degli infermieri). «Sono maggiormente a rischio gli operatori sanitari più giovani e coloro che lavorano sotto stress, in contesti ospedalieri caratterizzati da carenze organizzative e inadeguatezza di attrezzature e materiali e da un clima interno poco collaborativo e stimolante» precisa Domenica Matranga, professoressa di Statistica medica all’Università di Palermo, partner del progetto METEOR. «Tra le politiche in grado di trattenere la forza lavoro sanitaria – aggiunge Matranga - lo studio ha evidenziato come più efficaci quelle a sostegno del personale, la formazione mirata e specifica per la leadership, la retribuzione competitiva, l’alleggerimento del carico burocratico e l’adeguamento delle piante organiche».
Sono dati confermati anche dalla ricerca condotta da Cittadinanzattiva nel 2023 su 10 mila operatori sanitari. «Poco meno della metà è soddisfatto del proprio percorso professionale – sottolinea infine Valeria Fava, responsabile politiche della salute di Cittadinanzattiva - ma in egual misura si dice insoddisfatto del proprio ambiente di lavoro che stimola poco o per niente la realizzazione personale e la crescita professionale».
Pericolo disgregazione
Sullo sfondo, intanto lo spettro dell’autonomia differenziata che preoccupa i sindacati medici.
«Le profonde differenze tra Nord e Sud in materia di salute mettono a rischio la coesione sociale del Paese. E il disegno di legge sull'Autonomia Differenziata all’esame del Parlamento, invece di colmare questo divario, rischia di ampliarlo ulteriormente, dividendo l'Italia in due: una a Nord, con sanità e cittadini di serie A, e una a Sud, con sanità e cittadini di serie B», ha affermato in una nota il sindacato dei medici Anaao Assomed.
«Rischiamo la disgregazione sociale”, aggiunge il segretario nazionale Anaao Pierino di Silverio. «Con la riforma Calderoli verrebbe meno uno dei due pilastri del welfare state, cioè il diritto alla salute per tutti gli individui sancito dalla nostra Costituzione. Qualora venisse introdotta, i Lea non sarebbero più in capo al ministero della Salute, ma rientrerebbero nelle competenze delle Regioni», prosegue. «In poche parole questo significa che ogni Regione potrebbe decidere quali prestazioni erogare gratuitamente e quali no. Si potrebbe arrivare al paradosso per cui una determinata visita potrebbe essere gratuita in Lombardia e a pagamento in Calabria».
Per l’esponente sindacale, la riforma è «un tentativo di ulteriore parcellizzazione basata sulla spesa storica nella logica del povero sempre più povero e ricco sempre più ricco» e «lega un diritto - che l’art. 32 della Costituzione vuole unico e indivisibile - a reddito e residenza, secondo un neonato ius domicilii» .
Fonte: HealthDesk articolo di redazione 18 aprile 2024