Novità scientifiche

Il Congresso della S.I.N. Allarme cervello: malattie neurologiche le più diffuse nel mondo occidentale

congresso SIN, Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla, ictus, cefalee

24 Ottobre 2016

Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla, ictus ma anche cefalee. Sono queste, più delle patologie cardiovascolari e dei tumori, le malattie che minacciano la salute delle paesi sviluppati. Tutti i numeri e le nuove prospettive di cura al Congresso della Sin

Più fragile del cuore, dei polmoni e dell’intestino, il cervello è l’organo più esposto alle malattie nel mondo occidentale. Lo dicono i numeri: le patologie neurologiche hanno superato quelle cardiovascolari e i tumori. E l’Italia rispecchia le statistiche delle altre nazioni. Nel nostro Paese ci sono un milione di persone affette da demenza, di cui 600 mila con Alzheimer, 120 mila nuovi casi di ictus ogni anno che portano a 930 mila i pazienti con conseguenze invalidanti. Non finisce qui. Il morbo di Parkinson colpisce circa 200 mila persone, mentre all’epilessia sono attribuiti 500 mila casi, dei quali almeno un quarto con situazioni particolarmente impegnative. 

In minoranza, ma con un trend in costante aumento, i 90 mila pazienti, spesso giovanissimi, colpiti da sclerosi multipla e quelli con malattie dei nervi o dei muscoli. 

È la fotografia scattata dalla Società Italiana di Neurologia (Sin) in occasione della presentazione del 47° Congresso Nazionale (Venezia, 22-25 ottobre 2016) da cui emerge quanti pericoli minacciano l’organo principale del sistema nervoso centrale. A partire dalla cefalea, una condizione di cui ha sofferto, almeno una volta nella vita, circa il 90 per cento della popolazione e che richiede, in molti casi, un approccio intensivo e personalizzato per evitare che il dolore diventi invalidante.  Gli sforzi degli scienziati sono tutti concentrati nella ricerca di trattamenti per la sclerosi multipla, la malattia di Parkinson, le cefalee, le vasculopatie cerebrali, l’’epilessia, di alcune malattie rare. Sono stati già ottenuti molti risultati e se ne attendono di nuovi. 

Sclerosi multipla

«Oggi abbiamo a disposizione 14 terapie approvate, sia come trattamenti di prima linea che come terapie di seconda linea - spiega Gianluigi Mancardi, Direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Genova -  Altri 4 farmaci, sono in uso off label o in via di approvazione, come il rituximab, l’ocrelizumab, il daclizumab e la cladribina». 

Si è sempre pensato che la malattia fosse dovuta principalmente alla attivazione di linfociti T autoreattivi, ma i recenti studi che usano farmaci diretti contro la componente cellulare linfocitaria B, hanno fornito risultati significativi. È probabile, dunque, che nel prossimo futuro questa diventerà una terapia standard molto utilizzata.

Ictus cerebrale

 L’ictus è la prima causa di disabilità, seconda causa di demenza e terza causa di morte dei paesi occidentali. «Finalmente - dichiara Elio Agostoni, Direttore della Struttura Complessa Neurologia e Stroke Unit del Dipartimento di Neuroscienze, Ospedale Niguarda Ca’ Granda - in molte strutture ospedaliere italiane l’ictus ischemico viene trattato con il binomio terapeutico di trombolisi farmacologica sistemica e trattamento endovascolare mediante trombectomia meccanica, con una conseguente riduzione significativa della mortalità e della disabilità causate da questa patologia». Il binomio è efficace se viene praticato entro poche ore dall’ictus: 4 ore e mezza la trombolisi, 6 ore la trombectomia. La prima terapia è la somministrazione di un farmaco che disostruisce l’arteria cerebrale occlusa, mentre la seconda consiste nella rimozione meccanica del trombo grazie a uno stent di nuovo generazione introdotto attraverso un vaso sanguigno e che si apre una volta raggiunta l’arteria occlusa. 

Malattia di Alzheimer

«Da vari anni - spiega Carlo Ferrarese, Direttore Scientifico del Centro di Neuroscienze di Milano dell’Università di Milano-Bicocca - è noto che alla base della malattia di Alzheimer vi è l’accumulo progressivo nel cervello di una proteina, chiamata beta-amiloide, che distrugge le cellule nervose e il loro collegamenti».  Il rischio di sviluppare la malattia può essere stabilito grazie alla Pet (Positron Emission Tomography) o alla puntura lombare, che analizza i livelli della proteina nel liquido cerebrospinale, prima della comparsa dei deficit cognitivi rendendo quindi possibile l’avvio di strategie preventive. «Tali strategie - dice Ferrarese - sono basate su molecole che determinano una riduzione della produzione di beta-amiloide, con farmaci che bloccano gli enzimi che la producono (beta-secretasi) o, in alternativa, anticorpi capaci addirittura di determinare la progressiva scomparsa di beta-amiloide già presente nel tessuto cerebrale. Questi anticorpi consentono in parte di penetrare nel cervello e rimuovere la proteina, in parte di facilitare il suo passaggio dal cervello al sangue con successiva eliminazione. Gli anticorpi sono attualmente in fase avanzata di sperimentazione in tutto il mondo, su migliaia di pazienti nelle fasi iniziali di malattia o addirittura in soggetti sani che hanno la positività dei marcatori biologici (Pet o liquorali)». L’obiettivo è quello di modificare il decorso della malattia prevenendone l’esordio. Le stesse molecole nella fase di demenza conclamata si sono dimostrate inefficaci.

Malattia di Parkinson

Anche in questo caso, come per l’Alzheimer, la ricerca insegue principalmente uno scopo:  la diagnosi precoce. Tutta l’attenzione negli ultimi tempi è stata rivolta all’individuazione di biomarker, preziosi campanelli d’allarme che segnalano il rischio della patologia in tempo utile per prendere provvedimenti. Tra questi c’è il test della retina. «I ricercatori dell’University College di Londra - ricorda Alberto Priori, Professore Associato di Neurologia presso l’Università di Milano e Direttore Clinica Neurologica III Università degli Studi di Milano, ASST Santi Paolo e Carlo, Milano -  hanno effettuato sul ratto un test della retina capace di identificare i segni di neurodegenerazione legati alla malattia di Parkinson, prima che questa si manifesti clinicamente». 

Da un punto di vista terapeutico, invece, notevoli avanzamenti sono stati compiuti nel campo delle neurotecnologie correlate alla stimolazione cerebrale profonda (Dbs). «L’uso di elettrodi direzionali e di dispositivi che consentono di “modellare” il campo elettrico generato all’interno del cervello - spiega Priori - potranno essere utili nella gestione di casi complessi. Da ultimo, lo sviluppo delle tecnologie adattative (frutto della ricerca italiana) per le Dbs, che consentono l’adattamento automatico - per così dire “intelligente” - della stimolazione alle necessità del paziente, consentirà una notevole riduzione degli effetti collaterali e dell’energia consumata dai dispositivi di nuova generazione con un notevole incremento del controllo terapeutico delle fluttuazioni motorie». 

Per quanto riguarda la prevenzione, una rassegna effettuata su The Lancet Neurology descrive le più recenti prove sui fattori ambientali che possono modificare il rischio di ammalarsi di malattia di Parkinson: dall'esposizione ai pesticidi (che aumenta il rischio), al consumo di caffeina (che potrebbe ridurlo). Molti studi  hanno osservato che l’attività sportiva in gioventù è protettiva per la comparsa di malattia di Parkinson.

La ricerca made in Italy

Con un migliaio di pubblicazioni negli ultimi nove mesi e 114 collaborazioni internazionali confermano, la comunità scientifica ha un ruolo di primo piano nella ricerca. I campi di studio? Individuare le possibili basi genetiche della malattia di Alzheimer, della sclerosi laterale amiotrofica (Sla) o dell’atrofia multisistemica, ma anche i biomarker della malattia di Parkinson o gli effetti, la tollerabilità e l’efficacia a lungo termine dei farmaci usati comunemente in neurologia. «Le pubblicazioni con un’authorship interamente italiana - ricorda Gioacchino Tedeschi, Professore Ordinario di Neurologia e Direttore Dipartimento Assistenziale di medicina Polispecialistica II Università di Napoli sono la maggior parte (859 su 973) e, tra queste, un dato davvero rilevante è il numero di studi presenti su riviste di grande visibilità e ad alto Impact Factor (>4): 144». 

Di tutti i lavori pubblicati dai neurologi italiani nel 2016, però, solo 16 hanno trovato spazio sui media. Colpa dei giornalisti scientifici schiavi della legge dell’appeal, oppure degli scienziati poco inclini a tradurre in linguaggio comprensibile le loro scoperte? C’è da riflettere. 

Fonte: HD HealthDesk, redazione, 20 Ottobre 2016

 

ALICe

A.L.I.Ce. Italia ODV

  • Privacy Policy - Cookie Policy
  • Termini e condizioni
  • Login
  • sito realizzato da Studio Indaco