Il lavoro appena pubblicato dai neurologi del Campus
Bio-Medico di Roma su Nature ReviewsNeurology pone le basi per lo sviluppo di
tecniche di stimolazione cerebrale transcranica più efficaci per il recupero
nei pazienti vittime di ictus cerebrale. L'utilizzo della «taglia unica» nella
terapia di recupero post-ictus porta spesso a scarsi risultati. Per evitarlo,
dev'essere attuata una differenziazione degli interventi in base all'entità del
danno cerebrale. La notizia viene da un lavoro dei ricercatori dell'Università
Campus Bio-Medico di Roma, pubblicato di recente su Nature
ReviewsNeurology.
Nuove chance dalle neuroscienze. Il cervello umano funziona trasformando impulsi elettrici in segnali chimici (rilascio di neurotrasmettitori) e viceversa. Attraverso questo meccanismo, all'apparenza semplice, miliardi di cellule nervose comunicano in ogni istante e ci permettono di pensare, parlare e muoverci. Quando si verifica un ictus cerebrale, questi meccanismi possono essere danneggiati in maniera più o meno grave, con conseguenti danni alle normali funzioni cerebrali. Negli ultimi anni, le neuroscienze hanno aperto le porte a un nuovo approccio terapeutico per promuovere il recupero dopo un ictus che potrebbe affiancarsi alla riabilitazione. Si tratta di una strategia ‘elettromagnetica' in grado di modulare la trasmissione dei segnali elettrici cerebrali e potenziare la comunicazione tra diverse aree cerebrali e tra queste e i muscoli. Ma tale approccio innovativo, basato sull'uso di campi elettrici e magnetici, ha finora permesso di ottenere risultati ancora molto limitati. Dall'analisi effettuata dai ricercatori del Campus Bio-Medico emerge che le due principali scuole di pensiero sul trattamento con tecniche di neuromodulazione cerebrale non-invasiva nell'ictus non sono da contrapporre, ma vanno adattate a seconda dell'entità del danno subito dal cervello. Il primo modello è quello della cosiddetta ‘competizione tra emisferi', secondo cui, in un cervello colpito da ictus, andrebbe inibita la parte sana per impedire che la sua iperattività rallenti il recupero dell'emisfero leso. Al contrario, l'altro approccio vede nella stimolazione dell'emisfero non colpito da ictus un elemento di forza per favorire il migliore recupero delle funzioni motorie del paziente, sfruttandone l'attività sostitutiva.
I ricercatori del Campus Bio-Medico
indicano che non c'è una strada unica valida genericamente per tutti i
pazienti. La scelta del trattamento indicato, piuttosto, dipende da quanto
grande è il danno cerebrale. Secondo gli studiosi, infatti, se è di modesta
entità, l'obiettivo è tornare ad avere un cervello che funzioni come faceva
prima dell'ictus. Di conseguenza, l'approccio più adeguato è quello di inibire
l'iperattività dell'emisfero sano. Se, viceversa, il danno cerebrale è molto
vasto, la strategia di recupero vincente è quella che potenzia l'emisfero
cerebrale non colpito dall'ictus in sostituzione di quello danneggiato. A
questa ricerca si lega un secondo studio, realizzato sempre dai neurologi del
Campus Bio-Medico e pubblicato sulla rivista Brain
Stimulation. I ricercatori hanno scoperto che alcune
caratteristiche genetiche influenzano il modo in cui il cervello di un soggetto
colpito da ictus si riorganizza dopo l'evento. Lo studio si è focalizzato sugli
effetti delle varianti di un singolo gene, che codifica una proteina della
famiglia delle neurotrofine, chiamata Brain DerivedNeurotrophicFactor. Questa
proteina favorisce la sopravvivenza dei neuroni e influenza i fenomeni di
plasticità cerebrale.
«Abbiamo scoperto – chiarisce Di Lazzaro – che per poter definire i programmi
terapeutici e riabilitativi post-ictus anche le caratteristiche genetiche
dell'individuo rappresentano un elemento rilevante da prendere in
considerazione. Di fatto, questo gene influenza il modo in cui i due emisferi cerebrali
reagiscono a un ictus: nei soggetti con la forma più diffusa del gene
l'emisfero cerebrale non colpito prende il sopravvento, diventando
ipereccitabile agli stimoli esterni. Nei soggetti con una variante del gene,
detta polimorfismo, lo sbilanciamento tra l'attività dei due emisferi che si
verifica dopo l'ictus è nove volte inferiore. L'ipereccitabilità dell'emisfero
non colpito da ictus ha un ruolo significativo nei processi di recupero, in
quanto può favorirlo, soprattutto quando i danni dell'ictus sono molto estesi,
ma può anche interferire con esso nel caso di lesioni di minori dimensioni».
I risultati di questi due studi apriranno la strada ad approcci terapeutici
post-ictus molto più promettenti, potenzialmente efficaci anche ad anni di
distanza dall'evento.
Fonte: Il Sole 24 Ore Sanità - articolo del 02/10/2014