Recenti e importanti studi hanno dimostrato che nel 30-40 per cento degli ictus di origine sconosciuta (criptogenici) c’è anche la fibrillazione atriale (Fa). Il paziente con fibrillazione ha un rischio fino a cinque volte superiore di incorrere in un evento ischemico, inoltre l’ictus ischemico associato a fibrillazione atriale ha probabilità doppia di essere fatale rispetto ad un evento in assenza di fibrillazione atriale. Il problema però è che nella maggior parte dei pazienti questa aritmia è del tutto asintomatica, il che la rende subdola e più temibile.
A seguito di un ictus criptogenico, la terapia con anticoagulanti orali viene indicata solo in caso di presenza di fibrillazione atriale, con lo scopo di prevenire “recidive” ovvero un possibile secondo evento di ictus, evento che interessa circa 35mila pazienti ogni anno.
È quindi indispensabile diagnosticare la fibrillazione atriale per evitare un possibile ulteriore evento di ictus. Questo è oggi possibile attraverso sistemi avanzati in grado di registrare in continuo l’attività cardiaca del paziente. Eppure, nonostante la disponibilità di questi dispositivi, solo il 5 per cento dei pazienti con ictus criptogenico riceve un sistema impiantabile per il monitoraggio cardiaco, sebbene le linee guida Esc 2016 (European Society of Cardiology – società europea di cardiologia) raccomandino l’impianto in tutti i pazienti che abbiano avuto un episodio di ictus criptogenico.
Fonte: HD HealtDesk, redazione, 26 Ottobre 2016