Fondo non autosufficienza, Corte dei conti: «Troppe disuguaglianze». Al Sud si spende un terzo rispetto al?
Italia patchwork anche sulle politiche per la non autosufficienza. Con una estrema eterogeneità e disomogeneità nella diffusione dei servizi tra le regioni e un’oscillazione della spesa sociale che passa dai 282 euro pro-capite utilizzati nel 2015 dalla Provincia autonoma di Trento agli appena 26 euro della Regione Calabria. E più in generale con un Sud che spende, in media, poco più di un terzo rispetto al Nord. È quanto emerge dalla Relazione della Corte dei conti sul Fondo per le non autosufficienze (2007-2015).
Un passo avanti positivo è stato fatto con la legge di stabilità 2015 (art. 1, comma 159, l. 23 dicembre 2014, n. 190) che ha reso definitivamente “strutturale” il finanziamento del Fondo nazionale. Ma per evitare che la geografia penalizzi i cittadini più fragili, sottolineano i giudici contabili, «In questo scenario d'insieme, risulta assolutamente necessario ed urgente che vengano rafforzati tutti quei presidi e meccanismi di governance che siano in grado di realizzare un processo di convergenza o, perlomeno, di riduzione dell'eterogeneità non solo nella spesa, ma anche nei modelli di intervento, improntati ad una concreta e tangibile eliminazione degli squilibri esistenti non solo tra le diverse regioni, ma anche all'interno delle stesse regioni».
Insomma vera inclusione e non discriminazione sono ancora lontani. E la realizzazione dei principi previsti dalla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità dell'Onu (Crpd) è in alto mare.
Il pieno godimento dei diritti delle persone con disabilità resta un percorso a ostacoli. In ballo ci sono accesso ai beni, ai servizi e ai dispositivi di assistenza; l'accesso ai trasporti, alle strutture, alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. La partecipazione e l’esercizio dei diritti fondamentali. Ma anche assistenza ospedaliera e accoglienza in residenze specializzate, politiche di occupazione e miglioramento dell'accessibilità ai luoghi di lavoro.
Le disparità Nord-Sud
I numeri parlano chiaro. In generale, secondo i dati disponibili per le regioni del sud, la spesa totale ammonta a circa 50 euro pro-capite, mentre al centro-nord la spesa è di circa 130 euro. E l'Istat ha redatto un'analisi censuaria sulla spesa sociale dei comuni documentando, come detto, che si spendono 25 euro pro-capite nei comuni della Regione Calabria e 280 euro per quelli della Provincia autonoma di Trento. Ma se è vero, sottolinea la Relazione della Corte dei conti, che in ambito sanitario, «gli enti che spendono meno per erogare la stessa tipologia di servizi possono definirsi virtuosi, così non può dirsi nella materia delle politiche sociali, dove le economie di spesa – data l'assenza di livelli essenziali delle prestazioni – rischiano di tradursi nella mancata erogazione di servizi a coloro che ne abbisognano».
Qualcosa è stato fatto. Le regioni, sulla base delle indicazioni contenute nella l. n. 162/1998, nel corso degli ultimi anni «hanno testato e messo alla prova una progettualità finalizzata all'assistenza indiretta, all'incentivazione della domiciliarità e, seppur in modo minimale, al supporto a percorsi di autonomia personale». Ma le criticità non sono mancate. Con «disallineamenti tra le regioni, ma anche all'interno delle stesse tra comuni e comuni, talvolta enfatizzati dalla complicanza di mantenere le buone prassi, laddove esistente, attivate nel lustro passato, a causa forse anche delle riduzioni dei finanziamenti dei fondi sociali degli ultimi anni». E la relazione segnala anche mancata unificazione e concertazione degli interventi (sociali, educativi, sanitari e socio-sanitari) e un gap ancora irrisolto sulle misure « che stimolino l'acquisizione della cosiddetta “disabilità adulta”, soprattutto in favore delle persone con disabilità intellettiva».
Assistenza modulata e progetto di vita
Per il futuro, spiega la Corte dei conti, sarebbe prioritaria «l'implementazione di strutture operative in grado di offrire una nuova forma di assistenza modulata sulle esigenze del disabile (definibile assistenza personale autogestita), che dovrà essere intesa, ovviamente, diversa dall'assistenza domiciliare (quale servizio infermieristico che consegue lo scopo di evitare la congestione degli ospedali), ma anche dalle forme di assistenza dei servizi sociali, in quanto non è più l'ente a dare unilateralmente assistenza, ma questo dovrebbe divenire un servizio offerto su richiesta del disabile stesso e nei termini da lui definiti».
Solo in questo modo, insieme con un'equipe multidisciplinare presente nell'ambito socio-assistenziale, la persona con disabilità potrebbe « elaborare un proprio progetto di vita, in base al quale si possano stabilire le modalità di assistenza, nonché il relativo costo».
Obiettivo casellario dell’assistenza
E per facilitare un percorso vero l’obiettivo «vita indipendente», i magistrati consigliano una migliore comunicazione tra servizi sociali, Inps e amministrazioni competenti . Obiettivi: migliorare gestione, programmazione, monitoraggio della spesa sociale e valutazione dell'efficienza e dell'efficacia degli interventi. Appare quindi necessario ed urgente, sottolinea la relazione, che i «servizi sociali inviino all'Inps le informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni concesse, raccordando i flussi informativi relativi a diverse disposizioni in materia di politiche sociali e assistenziali le quali dovranno alimentare il c.d. Casellario dell'assistenza».
Un meccanismo virtuoso che avrebbe un impatto anche sulla sanità in senso stretto. Ad una maggiore spesa nel settore sociale dovrebbe infatti corrispondere un minore numero di ricoveri ospedalieri e un risparmio di spesa sanitaria. «Queste valutazioni, quando sarà completato il casellario - conclude la Corte dei conti - dovranno costituire la base essenziale ed imprescindibile per il ministero al fine di definire preventivamente i criteri di riparto delle dotazioni economiche di sostegno», evitando le pesanti disomogeneità registrate tra le regioni.
Infine, sulla distribuzione delle risorse per i progetti di “vita indipendente”, «sarebbe auspicabile, per il futuro, che nell'ambito delle linee guida venga previsto anche il parametro della “redditività dell'area di intervento”, oltre ai requisiti di età e di numero di abitanti, affinché il criterio anagrafico-residenziale non debba rivelarsi elemento di maggior favore tra cittadini rispetto agli altri che risiedono in contesti territoriali economicamente più svantaggiati».
Fonte Sole 24 Ore Sanità articolo di Rosanna Magnano – 25 gennaio 2017