I ricercatori hanno osservato che la fibrillazione atriale aumenta del 30 per cento il rischio di Alzheimer e raddoppia quello di demenza vascolare.
L’associazione tra fibrillazione atriale e un maggior rischio di soffrire di demenza senile era sospettata da tempo. Ora uno studio, il più ampio mai condotto sulla popolazione anziana, fornisce prove consistenti a sostegno di questo legame. Dimostrando anche, però, che l’assunzione di anticoagulanti orali per la prevenzione degli emboli riduce le probabilità di andare incontro a deterioramento cognitivo.
I ricercatori hanno monitorato la salute di 262mila persone di oltre 60 anni che nel 2004, all’inizio dello studio, non soffrivano né di fibrillazione atriale né di demenza. Tutti i partecipanti sono stati seguiti fino alla fine del 2013.
In questo arco di tempo 10.500 persone hanno avuto una diagnosi di fibrillazione atriale e il 24,4 per cento di questi ha sviluppato la demenza, una percentuale molto superiore a quella registrata tra chi non soffriva di aritmie cardiache (14,4%). Lo studio è stato pubblicato sull’European Heart Journal.
I ricercatori hanno calcolato che i pazienti con fibrillazione atriale aumentano del 50 per cento il rischio di sviluppare la demenza in confronto alle persone sane, indipendentemente dall’aver avuto o meno un ictus.
Trasferendo i dati a livello di popolazione si stima che 1,4 persone in più ogni 100 svilupperebbero la demenza se ricevessero una diagnosi di fibrillazione atriale. L’associazione tra le due malattie vale per gli adulti sia sopra che sotto i 70 anni di età.
Non finisce qui. I ricercatori hanno anche osservato che la fibrillazione atriale aumenta del 30 per cento il rischio di Alzheimer e raddoppia quello di demenza vascolare.
C’è però un’ancora di salvezza: le persone con fibrillazione atriale in terapia con anticoagulanti orali abbassano del 40 per cento le probabilità di soffrire di deterioramento cognitivo in confronto ai pazienti con fibrillazione atriale che non assumono i farmaci in questione (come il warfarin, o i nuovi anticoagulanti orali non antagonisti della vitamina K, come dabigatran, rivaroxaban, apixaban o edoxaban).
Lo studio è il primo a valutare l’associazione tra fibrillazione atriale e demenza in un campione così ampio monitorato tanto a lungo. L’indagine è stata condotta in Corea ma i ricercatori sono convinti che i risultati valgano anche per le popolazioni dei Paesi occidentali ed europei.
«Il nostro studio suggerisce che l’associazione tra fibrillazione atriale e demenza potrebbe essere ridotta se i pazienti assumessero anticoagulanti orali, pertanto i medici dovrebbero riflettere attentamente ed essere pronti a prescrivere anticoagulanti orali ai pazienti con fibrillazione atriale per cercare di prevenire la demenza», ha detto Gregory Lip, professore di medicina cardiovascolare all'Università di Liverpool e all’Università di Yonsei e coautore dello studio.
La prevenzione della demenza attraverso l’uso degli anticoagulanti orali sembrerebbe quindi una strategia efficace. Ma quali farmaci promettono maggiori effetti protettivi, i vecchi prodotti o i nuovi? La risposta verrà fornita dai risultati di un trial clinico attualmente in corso che mette a confronto i medicinali tradizionali, come il warfarin, con gli anticoagulanti di nuova generazione (Noac). Questi ultimi hanno un rischio minore di emorragie cerebrali e quindi si pensa che siano più efficaci nella prevenzione della demenza. Ma la sperimentazione scioglierà il dubbio.
Gli autori dello studio hanno anche intenzione di valutare l’utilità della ablazione transcatetere per curare le aritmie nella prevenzione delle demenze.
Ancora non è del tutto chiaro come mai la fibrillazione atriale sia associata a un maggior rischio di demenza. Si ipotizza che le aritmie cardiache, provocando variazioni del flusso sanguigno al cervello, favoriscano l’insorgenza di piccoli ictus che sarebbero i responsabili del deterioramento cognitivo.