Entra in vigore il 19 marzo, dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale n. 65 del 18 marzo 2024, il decreto legislativo 15 marzo 2024, n. 29 che attua la riforma sulla presa in carico degli anziani, abili e non autosufficienti, in Italia.
Entra in vigore il 19 marzo, dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale n. 65 del 18 marzo 2024, il decreto legislativo 15 marzo 2024, n. 29 che attua la riforma sulla presa in carico degli anziani, abili e non autosufficienti, in Italia. Un provvedimento che andava portato a casa entro la fine del primo trimestre di quest’anno, in linea con quanto prescritto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, e che ora va come si dice ’messo a terra’. La prima a commentare è Maria Teresa Bellucci, la viceministra al Lavoro e Politiche sociali coordinatrice dei lavori che in dodici mesi hanno portato dall’approvazione della legge delega 33 del 23 marzo 2023 a un decreto complesso in 43 articoli. «Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo che attua la delega prevista dalla legge 33/2023, la riforma in favore delle persone anziane entra nel nostro ordinamento - dichiara -. Ora, nel solco della certezza del diritto e di una legge quadro di riferimento, lavoreremo per attuare progressivamente tale riforma, coinvolgendo le parti sociali, le categorie professionali, il mondo scientifico e del terzo settore. Abbiamo la possibilità di concretizzare il cambiamento per il quale abbiamo posto solide fondamenta. L’Italia merita un cambio di paradigma circa la terza età, che superi l’isolamento e la cultura dello scarto, restituendo dignità e piena partecipazione ai nostri anziani, unitamente a un modello di integrazione sociosanitaria più efficiente e innovativo nelle risposte ai bisogni delle persone ultrasessantacinquenni. Gli italiani aspettavano questa riforma da oltre 20 anni, il Governo l’ha approvata e il lavoro per la sua attuazione continua».
I contenuti del decreto
Le parole-chiave sono prestazione universale, cure integrate e a casa, prevenzione, telemedicina, Livelli di assistenza (Lea) e Livelli essenziali delle prestazioni (Leps). È un’architettura ampia - ma ancora in gran parte da realizzare se solo si guarda all’integrazione sociosanitaria che manca quasi ovunque nel Paese e a Lea e Leps inattuati - quella tratteggiata dalla riforma dell’assistenza alla popolazione anziana, con un focus particolare sulla non autosufficienza. Dopo 20 anni di attesa, si parte su prescrizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che prescriveva il varo della riforma entro questo mese di marzo.
Un miliardo in campo ma ne serviranno almeno 7. La scommessa è epocale: la riforma per cui le associazioni del Patto per un nuovo welfare per la non autosufficienza hanno stimato un budget fino a 7 miliardi nella legislatura, si avvia con un miliardo messo insieme attingendo a fondi già esistenti e in un Paese ancora lontanissimo dall’integrazione sociosanitaria che dovrebbe tenere insieme gli interventi di Regioni, Asl, Comuni, Terzo settore, privati e cittadini. Con la regìa del nuovo Cipa, il Comitato interministeriale per le politiche in favore delle persone anziane e la messa a terra da parte del Sistema nazionale per la non autosufficienza (Snaa) che dovrà declinare gli interventi sui territori.
Prestazione universale primo traguardo. Primo timido frutto, a fronte dei bisogni di cura di 3,8 milioni di anziani non autosufficienti presenti in Italia, quella prestazione universale che mette insieme - per un totale di circa 1.350 euro mensili - l’indennità di accompagnamento e la new entry ‘assegno di cura’: 850 euro al mese assegnati ‘flat’ (la legge 33 prevedeva una gradualità) e in via sperimentale a una mini platea di 25mila anziani over 80, gravissimi e già titolari dell’indennità di accompagnamento, con Isee non superiore ai 6mila euro. Una popolazione a cui il Mef destina 500 milioni nei due anni di test da inizio 2025 a fine 2026. Ma chi saranno gli effettivi beneficiari? Spetterà a una commissione tecnico-scientifica individuata dal ministero del Lavoro e Politiche sociali entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto (quindi entro il 19 maggio), fissare i criteri di classificazione dello ‘stato di bisogno assistenziale gravissimo’ e cioè chiarire chi effettivamente potrà ricevere dall’Inps l’assegno di cura. Che servirà unicamente a pagare badanti o per acquistare servizi di cura da ricevere a casa: supporti da formare secondo criteri ad hoc che andranno a qualificare la professione di assistente familiare. L’assegno andrà restituito se non impiegato con questo obiettivo.
La valutazione multidimensionale unificata (Vmu). Tra le novità della legge, un percorso unitario per la valutazione dell’anziano, mirato a tagliare burocrazia e stress anche per i caregiver. La riforma punta sull’integrazione socio-sanitaria e su un’assistenza quanto più possibile al domicilio dell’anziano, da ammettere ai servizi di cura attraverso la porta dei Pua, i punti unici di accesso nelle case di comunità previste sempre dal Pnrr. Stop ai ghirigori burocratici: una valutazione multidimensionale unificata, informatizzata e ‘scientificamente validata’ per l’accertamento della non autosufficienza, consentirà di mettere a terra un progetto di assistenza individuale integrata (Pai), in cui la telemedicina dovrà svolgere un ruolo di prim’attore.
Il nodo delle risorse . La fiche messa dal Governo per l’avvio della riforma supera il miliardo ma di fatto le risorse fresche arrivano solo dal Pnrr (Missioni 5 e 6) e quindi sono a scadenza mentre sul fronte del personale in più da arruolare si guarda ai 250 milioni per il 2025 e ai 350 milioni a partire dal 2026 messi dalla legge di bilancio per potenziare l’assistenza territoriale. Quanto ai 500 milioni raggranellati per far partire la prestazione universale, si pesca in Fondi e programmi già attivi: 150 mln dal Fondo non autosufficienze, 250 milioni dal Programma nazionale “Inclusione e lotta alla povertà 2021-2027” e 100 milioni dalla Missione 5 del Pnrr.
Fonte: Sole 24 Ore sanità articolo di Barbara Gobbi 19 marzo 2024