“Nonostante che il confronto europeo evidenzi un contenimento della spesa, i risultati della performance del sistema sanitario nazionale continuano a essere relativamente positivi”.
“Nonostante che il confronto europeo evidenzi un contenimento della spesa, i risultati della performance del sistema sanitario nazionale continuano a essere relativamente positivi”. È questa una delle sintesi rispetto alla sanità pubblica presentate dalla Corte dei conti nella sua ultima Relazione al Parlamento sulla gestione dei servizi sanitari regionali. Un report che può essere letto come il classico bicchiere ’mezzo pieno’ o ’mezzo vuoto’ e che proprio in questa sua ambivalenza dà il senso un Ssn sul doppio crinale: da una parte, ci sono ad esempio la spesa ridotta all’osso e le estreme spaccature territoriali e dall’altra, la scommessa della tenuta complessiva con forti defayance degli indicatori di salute. Che forse dovrebbero essere la stella polare di una ripartenza proprio per tutelare il benessere degli italiani e con esso il Pil del Paese.
I macro dati di spesa anche nel confronto internazionale, intanto: nel 2022 la spesa sanitaria pubblica italiana, circa 131 miliardi, “risulta ridotta rispetto ai 423 della Germania e ai 271 della Francia. A parità di potere d’acquisto, la spesa italiana pro capite risulta meno della metà di quella della Germania”. Distanze evidenti anche quando nel biennio della pandemia 2020-2021 l’Italia ha aumentato la spesa sanitaria pubblica del 15,5%, percentuale che resta inferiore a quella di Francia (+19,2%), Germania (18,4%), e Regno Unito (+28,6%). L’incidenza della spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil - rilevano ancora dalla Corte segnalando che evidentemente il rapporto spesa/Pil un senso lo ha - è stata pari al 6,8%, superiore di un decimo di punto a quella del Portogallo (6,7%) e di 1,7 punti rispetto alla Grecia (5,1%), ma inferiore di ben 4,1 punti a quella tedesca (10,9%), di 3,5 punti a quella francese (10,3%), e inferiore di mezzo punto anche a quella spagnola (7,3%).
In questo passaggio stretto, c’è la spesa privata a carico dei cittadini che in qualche modo le cure devono pagarsele: “il relativo contenimento della spesa pubblica sanitaria e il fenomeno delle liste di attesa - osserva ancora la Corte - hanno come corollario una spesa privata al di fuori del Servizio sanitario nazionale che appare assai elevata, crescente, e molto superiore a quella degli altri paesi dell’Ue. Nel 2022, in Italia la spesa diretta a carico delle famiglie è stata il 21,4% di quella totale, pari a un valore pro capite di 624,7 euro, in crescita del 2,10% rispetto al 2019, con ampi divari tra Nord (che spende mediamente di più) e Mezzogiorno”. Il confronto con i maggiori paesi europei: a fronte del 21,4% di quella italiana, corrispondente a parità di potere d’acquisto a 920 dollari pro capite, l’out of pocket in Francia raggiunge appena l’8,9% del valore totale (corrispondente, per il 2021, 544 dollari pro capite), l’11% in Germania (882 dollari pro capite).
Ancora, l’ambivalenza degli indicatori di salute: il tasso di mortalità prevenibile in Italia (91 per 100.000 abitanti) o trattabile (55 per 100.000 abitanti) risulta molto inferiore alla media Ocse (pari, rispettivamente, a 158 e 79 per 100.000 abitanti) mentre tra gli indicatori di qualità delle cure, quello della mortalità a 30 giorni dopo un attacco ischemico segnala valori più positivi per l’Italia (6,6% a fronte del 7,8% della media Ocse). Anche la qualità dell’assistenza primaria “evidenzia valori nettamente migliori per l’Italia (214 ricoveri inappropriati per infarto acuto del miocardio ogni 100.00 abitanti, a fronte, in media, di 463 nei paesi Ocse)”; negli accertamenti preventivi, il 56% delle donne risulta avere aderito a screening per il cancro al seno, poco più della media Ocse (55%). Valori meno positivi, invece, nel consumo, eccessivo, di antibiotici, e nel tasso di mortalità dovuto all’inquinamento atmosferico (40,8 per 100.000abitanti, a fronte di una media Ocse di 28,9).
Riguardo alle risorse umane, gli indicatori segnalano, per l’Italia, un tasso di medici praticanti pari a 4,1 per 1.000 abitanti, superiore alla media Ocse (3,7), ma un numero insufficiente di infermieri 6,2 a fronte di 9,2, e, inoltre, un numero di posti letto ospedalieri, pari a 3,1 per 1.000 abitanti, anch’esso inferiore al dato medio Ocse pari a 4,3. In generale, la Corte scrive nella sua Relazione che solo nel 2022, dopo la pandemia, le unità del personale hanno superato di poco i livelli occupazionali del 2008, ponendo fine a un decennio di riduzione, mentre la spesa per i redditi da lavoro dipendente ha eguagliato, in termini nominali, quella del 2008 solo a partire dall’anno 2021 (38,5 mld, +0,3% rispetto al 2008, pari a 38,3 mld), segnando, quindi, comunque una riduzione netta in termini reali.
Fonte: Sole 24 Ore sanità articolo di Redazione Sanitaria 02/04/2024