I non autosufficienti in Italia sono il 5,5% della popolazione, in numeri assoluti 3,2 milioni di persone circa. Quasi la metà sono in condizione grave, in stato di confinamento, cioè costretti a letto o su una sedia per impedimenti fisici o psichici. Fino a oggi, per tamponare l’emergenza, le famiglie hanno fatto ricorso al modello tipicamente italiano di long term care, che punta a mantenere l’assistito a casa a proprie spese per effetto della diffusa cattiva reputazione delle strutture residenziali per anziani e disabili.
Ora l’approccio, spiegano dal Censis, deve necessariamente cambiare. Perché le famiglie non riescono più a sostenere l’impegno che comportano esborsi economici e sostegno fai-da-te al paziente. «Il modello scricchiola», si legge insomma nel report, perché «il 50,2% delle famiglie con una persona non autosufficiente (di contro al 38,7% del totale delle famiglie) ha a disposizione risorse scarse o insufficienti». Alcuni si sono ridotti all’osso: per fronteggiare il costo privato dell’assistenza ai non autosufficienti, 910mila famiglie italiane si sono dovute tassare e 561mila nuclei hanno utilizzato tutti i propri risparmi, hanno venduto la casa o si sono indebitate.
Secondo gli esperti del Censis la soluzione passa inevitabilmente per un salto di qualità della residenzialità, che per il 17,3% degli italiani è al di sotto dello standard auspicabile: si stima che 4,7 milioni di anziani sarebbero disponibili ad accettare una soluzione residenziale, purché di qualità migliore dell’attuale.
Ma il cambio di passo deve transitare anche per un differente approccio culturale alla non autosufficienza, della quale le famiglie italiane sono abituate a prendersi davvero cura solo quando è conclamata: il 30,6% dei cittadini non ci pensa e il 22% ci penserà solo a momento debito. Il resto della popolazione conta sui risparmi accumulati (il 26,1%), sul welfare (17,3%) e sull’aiuto dei familiari (17%). Ma «se si vuole costruire una base finanziaria solida in grado di supportare un sistema di care articolato e di qualità - si legge ancora nel report - è opportuno promuovere forme di accumulazione di risorse dedicate di lungo periodo».
Nel frattempo, malgrado le dichiarazioni di intenti le politiche nazionali sembrano non aver registrato appieno l’emergenza cronicità e cura dei disabili. Lo stesso piano nazionale cronicità è ancora in via di costruzione, mentre i nuovi Lea - finalmente incardinati nella manovra - chissà quando vedranno applicazione concreta sul territorio. «Il governo - ha però affermato la ministra della Salute Beatrice Lorenzin alla vigilia della Giornata mondiale delle persone con disabilità del 3 dicembre - ha predisposto l’aggiornamento dei Lea, prevedendo interventi terapeutico-riabilitativi per i pazienti con disabilità importanti, nonché trattamenti socio-riabilitativi di recupero e mantenimento delle abilità funzionali residue. Il nuovo schema sui Lea aggiorna l’assistenza protesica e ridefinisce gli elenchi di protesi a carico del Ssn».
«L’andamento del Fondo per le politiche sociali - puntano intanto l’indice gli esperti Censis - testimonia il progressivo ridimensionamento dell’impegno pubblico nel finanziamento di queste politiche, nonostante il parziale recupero degli ultimi tre anni». Idem per il Fondo non autosufficienza: creato nel 2006, nel 2012 non è stato neanche finanziato. Dal 2016 riceverà 400 milioni dalla Stabilità, di cui 90 mln saranno destinati al “Dopo di noi”, l’iniziativa legislativa finalizzata alla tutela delle persone con disabilità nel periodo in cui i familiari non saranno più in grado di prendersi cura di loro.
Fonte: Il Sole 24 ore Sanità articolo di Barbara Gobbi 5 dicembre 2015