Prevenzione

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FATTORI DI RISCHIO

Con il termine “fattori di rischio” si intendono condizioni personali o ambientali, abitudini di vita, comportamenti, oppure altre patologie che predispongono ad ammalarsi di ictus cerebrale, aumentando quindi il rischio che questa grave patologia si verifichi; possono essere classificati in non modificabili e modificabili.  

NON MODIFICABILI

  • ETA’: l'incidenza di ictus aumenta con l'età, passando da meno di 30 casi per 100.000 abitanti nei soggetti di età < ai 44 anni a quasi 200 casi per 100.000 abitanti tra i 45 ed i 64 anni, ed aumenta ulteriormente nelle decadi successive, sino quasi a triplicare negli ultraottantenni.
  • EREDITARIETA’ E STORIA FAMILIARE: avere un parente diretto (un genitore, un nonno, una sorella o un fratello) che è stato affetto da questa malattia comporta un rischio maggiore rispetto a chi ha familiarità negativa per ictus.
  • ETNIA: la popolazione di colore ha un maggior rischio di avere un ictus (sia ischemico che emorragico), mentre la popolazione ispanica presenta un maggior rischio di emorragia subaracnoidea rispetto alla popolazione caucasica. La popolazione di colore, unitamente a quella asiatica, presenta un’aumentata prevalenza di ipertensione arteriosa e diabete.
  • SESSO: quello maschile è lievemente più colpito, specie nelle fasce di età più giovani, in quanto le donne sono protette dagli ormoni sessuali almeno fino alla menopausa, ma è tra la popolazione femminile che si registra un maggior numero di decessi per ictus, in particolar modo tra le pazienti ultraottantenni e con emorragia cerebrale. Inoltre, è tra le pazienti donne che si registrano più frequenti esiti invalidanti. In entrambi i sessi si è registrata nel tempo una progressiva riduzione dei casi ictus cerebrale dopo i 65 anni, più marcata tra i pazienti più anziani (oltre gli 85 anni) e di sesso maschile.

MODIFICABILI (con comportamenti adeguati o specifici trattamenti farmacologici)

  • IPERTENSIONE ARTERIOSA: insieme alla Fibrillazione Atriale rappresenta uno tra i principali fattori di rischio per l’ictus; un soggetto di definisce iperteso se:
  • i valori della pressione sistolica (massima) si mantengono al di sopra dei 130 mmHg e quelli della pressione diastolica (minima) al di sopra dei 90 mmHg;
  • sta già assumendo una terapia antipertensiva;
  • il medico di riferimento ha registrato valori elevati di pressione arteriosa in almeno due diverse occasioni.

I soggetti con valori di pressione arteriosa massima compresi tra 170 e 190 e pressione arteriosa minima tra 85 e100 mmHg, presentano un rischio di ictus cerebrale doppio rispetto ai soggetti con valori pressori pari o inferiori a 120/80 mmHg

  • FIBRILLAZIONE ATRIALE: è un’aritmia, spesso asintomatica (non viene avvertita), e rappresenta una tra le principali cause di ictus ischemico: aumenta di quasi 5 volte il rischio di ischemia cerebrale. E’ importante controllare il battito cardiaco al polso o misurare la pressione e la frequenza cardiaca con apparecchi specificatamente predisposti e clinicamente testati per lo screening della fibrillazione atriale.
  • DIABETE MELLITO: un soggetto di definisce diabetico se:
    • i valori degli zuccheri nel sangue (glicemia) a digiuno superano i 126 mg/dL, oppure se
    • i valori degli zuccheri nel sangue (glicemia) dopo 2 ore dal pasto superano i 200 mg/dL, oppure se
    • il valore dell’emoglobina glicata (HbA1c) è uguale o superiore a 6.5%.

Aumenta il rischio di ictus cerebrale ed è associato ad una prognosi meno favorevole nei pazienti già colpiti da ictus, perché si associa sia ad un aumentato rischio di un nuovo evento (ictus o TIA), che ad una maggiore mortalità

  • IPERCOLESTEROLEMIA: livelli oltre la norma del colesterolo LDL (cattivo) e dei trigliceridi determinano l’incremento del rischio di ictus ischemico in proporzione all’aumento dei loro valori. Valori di LDL inferiori a 70 o a 55 mg/dl determinano un rischio significativamente minore di ictus ischemico o TIA
  • FUMO DI SIGARETTA: aumenta il rischio di ictus cerebrale in modo non sempre proporzionale al numero di sigarette fumate ogni giorno: anche 1 sigaretta al giorno può essere pericolosa. Inoltre, il fumo si associa alla presenza di lesioni ischemiche asintomatiche nel cervello. Nelle donne forti fumatrici aumenta il rischio di emorragia subaracnoidea. Anche il fumo passivo è pericoloso: aumenta il rischio di ictus e, tra i pazienti che sono già stati colpiti da questa patologia, aumenta il rischio di morire a seguito di un nuovo evento (ictus o TIA).
  • CARDIOPATIE: altre aritmie (diverse dalla fibrillazione atriale) come l’extrasistolia (sopraventricolare e la malattia del nodo del seno), presenza di protesi valvolari, forame ovale pervio (quest’ultimo solo in particolari pazienti), scompenso cardiaco, infarto miocardico, e l’endocardite sono condizioni che aumentano il rischio di ictus, soprattutto ischemico.
  • PLACCHE ATEROMASICHE: si tratta di un ispessimento localizzato della parete delle arterie che può predisporre ad un ictus se interessano le arterie carotidi o l’arco dell’aorta. Le placche ateromasiche carotidee sono responsabili di circa il 15-20 % degli ictus. La prevalenza aumenta con l’aumentare dell’età ed è più alta nel sesso maschile e nella razza bianca. Si stima che la prevalenza della stenosi severa carotidea grave, ma ancora senza sintomi, nella popolazione generale sia del 3.1% e il rischio di ictus aumenta col grado di stenosi.
  • OBESITA’: aumenta del 60% il rischio di patologia cardiovascolare, predispone all’insorgenza di diabete ed ipercolesterolemia
  • RIDOTTA ATTIVITA’ FISICA: uno stile di vita sedentario è associato ad un aumentato rischio di ictus cerebrale globalmente inteso e dei sottotipi ischemico ed emorragico, e condiziona sfavorevolmente la prognosi nei soggetti colpiti, associandosi ad una maggiore disabilità
  • EMICRANIA: l’emicrania con aura è una forma di cefalea primaria unica per le sue caratteristiche, presente nel 20-30% di tutti i soggetti affetti da emicrania. E’ associata ad un rischio doppio di ictus ischemico rispetto ai soggetti non emicranici. In condizioni specifiche come la gravidanza, si associa ad un maggior rischio di ischemia cerebrale che si stima sia mediato dall’aumento dei valori pressori.
  • PILLOLA ESTROPROGESTINICA: si associa ad un rischio di ischemia cerebrale che aumenta con l’età. Le donne che soffrono di emicrania e/o sono fumatrici sono esposte ad un rischio maggiore. E’ stato stimato che tra donne in menopausa di età compresa tra i 40 ed i 65 anni, la combinazione di alcuni estrogeni, chiamati estrogeni coniugati (CE) aumenta il rischio di ictus cerebrale del 20% rispetto alle donne che assumono estradiolo.
  • IPERTENSIONE GRAVIDICA, PREECLAMPSIA/ECLAMPSIA: aumentano il rischio di ictus ischemico.
  • ABUSO DI ALCOOL: è stata dimostrata un’associazione tra il consumo di alcolici, lo sviluppo di ipertensione arteriosa e cardiopatia ischemica, in misura proporzionale alla quantità di alcol assunta. Ipertensione arteriosa e cardiopatia ischemica sono noti fattori di rischio per l’ictus
  • SINDROME DELLE APNEE OSTRUTTIVE (OSAS): nelle forme più gravi si associa ad un rischio doppio di ictus cerebrale, soprattutto tra soggetti di sesso maschile. In particolare, sembra predisporre all’insorgenza di ictus al risveglio
  • ACCORGIMENTI DIETETICI: il consumo di verdura e frutta, soprattutto ricca di flavonoidi (agrumi, fragole ed uva), la riduzione di bevande zuccherine e un adeguato supplemento di Vit. D se necessario, contribuiscono a ridurre il rischio di ictus cerebrale
  • STRESS e disagio psicosociale: sono stati associati ad un rischio di ictus cerebrale sia ischemico che emorragico più che raddoppiato, analogamente ad una storia di grave disturbo depressivo pregresso o persistente.     

Ci sono inoltre altri fattori di rischio quali:    

  • T.I.A. o Attacchi Ischemici Transitori: si tratta dell’improvvisa insorgenza di sintomi neurologici che possono essere interpretati come ictus, ma che a differenza di questi ultimi, durano meno di 24 ore. Comportano un rischio aumentato (di oltre 4 volte) di incorrere in un ictus vero e proprio e circa 1 paziente ogni 3 presenta un ictus propriamente detto entro poco più di un anno e mezzo
  • Malattie disimmuni: sindrome da anticorpi antifosfolipidi, malattie reumatologiche, vasculiti cerebrali, arterite di Takayasu, sindrome di Susac, Sindrome da Vasocostrizione Cerebrale Reversibile
  • Alcuni casi di ictus possono essere il sintomo di un disordine genetico come CADASIL, che è un’encefalopatia causata dalla mutazione di un gene che determina occlusione delle piccole arterie cerebrali che è causa di ictus ischemici ricorrenti, che causano grave disabilità. Molti individui affetti da CADASIL hanno una storia familiare di malattia e ogni bambino nato da genitori con questa patologia ha il 50% di possibilità di ereditare tale disordine
  • Esistono infine altre rare patologie di origine genetica che possono predisporre ad ictus cerebrale, e che colpiscono una parte minima della popolazione: malattia di Fabry, sindrome di Marfan e di Ehlers-Danlos (tipo IV), pseudoxantoma elasticum, vasculopatia retinica leucodistrofia cerebrale e patologie mitocondriali

Fibrillazione atriale

La Fibrillazione Atriale (FA) è il disturbo cronico del ritmo cardiaco più frequente. Si tratta di un’aritmia che comporta un battito cardiaco irregolare e, molto spesso, più rapido che di norma (tachiaritmia). Interessa l'1-2% della popolazione e le probabilità di sviluppare tale condizione aumentano con l'avanzare dell'età. La fibrillazione atriale affligge circa 1,1 milione di individui in Italia, e si stima di raggiungere 9 milioni di casi entro il 2060 per effetto dei cambiamenti demografici. Si tratta di una condizione che si presenta nel 30-36 % dei soggetti adulti di razza caucasica, con maggior frequenza in età più avanzata, sino a riguardare il 30% dei pazienti ultranovantenni. Nella popolazione anziana del nostro paese la frequenza della fibrillazione atriale è stimata pari al 8,1%.  In Italia, la fibrillazione atriale interessa circa l’8,1% della popolazione con più di 65 anni. Tra le persone di età maggiore di 40 anni, una su quattro può presentare nel corso della vita un episodio di Fibrillazione Atriale. A volte questo rimane l’unico evento, mentre in altri casi l’aritmia tende a ricorrere. Soprattutto nelle fasi iniziali, gli episodi tendono ad interrompersi spontaneamente, di solito nel giro di un paio di giorni; successivamente, la loro durata aumenta e diventano necessari interventi specifici per determinarne l’arresto.

Le caratteristiche della Fibrillazione Atriale variano da individuo a individuo. Alcune persone non manifestano alcun sintomo, spesso per anni, mentre per altre i sintomi cambiano di giorno in giorno, ragione per cui il trattamento congiunto dei sintomi e della fibrillazione atriale deve essere personalizzato. Giungere alla diagnosi Fibrillazione Atriale è cruciale per i pazienti che ne sono affetti, poiché soltanto dopo la diagnosi sarà possibile iniziare la terapia anticoagulante che è inemendabile per un’appropriata prevenzione dell’ictus cerebrale. Oggi è possibile attuare un monitoraggio continuo ed a lungo termine del ritmo cardiaco, sia ricorrendo a dispositivi impiantabili (come pace-maker e defibrillatori), che a strumenti meno invasivi ed “indossabili”, come se fossero orologi multifunzione.

QUALI SONO LE CAUSE DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE?

  • Età (il rischio aumenta con l’invecchiamento; dopo i 40 anni un individuo su quattro può presentare un episodio aritmico)
  • Malattie cardiache (infarto pregresso, insufficienza cardiaca, malattia valvolare, ecc.)
  • Ipertensione arteriosa
  • Malattie extra cardiache (polmonari, tiroidee)
  • Abuso di alcol
  • Storia familiare (raramente)

In un numero ridotto di casi (uno su dieci all’incirca), l’aritmia si manifesta senza una causa apparente e viene pertanto definita come “isolata”.

QUALI SONO I SINTOMI DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE?

I principali sono:

  • palpitazioni (sensazione di battito accelerato ed irregolare)
  • debolezza o incapacità di eseguire la normale attività fisica
  • affanno
  • sensazione di “testa vuota”
  • sensazione di mancamento
  • svenimento

In alcuni soggetti i disturbi possono essere molto lievi o addirittura assenti e l’aritmia viene scoperta occasionalmente durante una visita medica eseguita per altri motivi. In presenza di sintomi o segni suggestivi della presenza di una Fibrillazione Atriale è opportuno effettuare una visita specialistica elettrofisiologica (consultando un cardiologo che si occupa specificatamente delle aritmie cardiache); nei casi di maggiore gravità è invece necessario un rapido accesso al Pronto Soccorso.

QUALI SONO LE CONSEGUENZE DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE?

Un ictus su 4 è causato dalla Fibrillazione Atriale ed è molto più severo di un ictus provocato da altre cause. Il rischio di incorrere in un ictus non è uguale in tutti i soggetti ed aumenta con l’età avanzata, la presenza di diabete mellito, ipertensione arteriosa, insufficienza cardiaca, malattia delle arterie o in coloro che hanno già presentato una ischemia cerebrale.

Un’altra possibile conseguenza temibile della Fibrillazione Atriale è rappresentata dalla riduzione più o meno grave della funzione di pompa del cuore (insufficienza cardiaca). Questo avviene solitamente in soggetti predisposti e soprattutto quando la frequenza di contrazione del cuore rimane a lungo molto elevata.

DIAGNOSI

Può rivelarsi difficile, in quanto la Fibrillazione Atriale è un evento imprevedibile e i sintomi non sono sempre evidenti. Per questo la collaborazione del soggetto è importante. Il medico o il team che seguono il caso avranno bisogno di indicazioni dettagliate in merito ai sintomi, oltre ai dati relativi all'attività elettrica cardiaca. Se il medico ha motivo di sospettare la presenza della Fibrillazione Atriale occorrerà eseguire degli esami diagnostici specifici e spesso ripeterli, oppure predisporre strumenti di monitoraggio del ritmo cardiaco per tempi più protratti.

PREVENZIONE DELLA FORMAZIONE DI COAGULI

Il rischio di ictus cerebrale determinato dalla Fibrillazione Atriale è legato al fatto che all'interno dell'atrio sinistro si formano coaguli che possono staccarsi (emboli) e viaggiare all’interno dei vasi sanguigni. La cura che riesce efficacemente a ridurre il rischio di questa eventualità è la terapia anticoagulante orale.

Fino a circa 10 anni fa, il farmaco più impiegato in Italia è stato il Warfarin, una sostanza molto efficace nella riduzione del rischio di ictus (di circa il 60%), ma con necessità di un continuo monitoraggio della sua azione mediante periodici esami del sangue. Inoltre, chi assume questo farmaco deve anche prestare attenzione alle sue interazioni con alcuni alimenti o altre sostanze che ne aumentano o riducono l’effetto.

Un’alternativa efficace e sicura per la prevenzione dell’ictus ischemico nella maggior parte dei pazienti fibrillanti (ad eccezione dei coloro che sono affetti da fibrillazione atriale valvolare) è costituita dai Nuovi Anticoagulanti Orali (NAO), più maneggevoli e sicuri. Questa nuova categoria farmacologica è efficace nella prevenzione dell’ictus ischemico e del tromboembolismo sistemico, anche in categorie “delicate” di pazienti (anziani, per esempio) e presenta un ridotto rischio di emorragie cerebrali. Inoltre: non richiede controlli ematici costanti, ha scarsissime probabilità di interazioni con alimenti e altri medicinali, è somministrata a dosaggio fisso rispetto alla terapia tradizionale, dimostrando un buon rapporto costo-efficacia.

RIPRISTINO DEL NORMALE RITMO DEL CUORE (CARDIOVERSIONE)

La procedura con cui si tenta di interrompere la fibrillazione atriale e ripristinare il normale ritmo del cuore (ritmo sinusale) è chiamata cardioversione. Può essere eseguita mediante somministrazione di farmaci antiaritmici (generalmente per via endovenosa nel corso di un ricovero o di un accesso in Pronto Soccorso) o attraverso un "impulso elettrico" erogato con delle speciali piastre posizionate sul torace (nel corso di un ricovero o di un accesso in Pronto Soccorso e dopo adeguata sedazione). Il medico farà la scelta del tipo di cardioversione più appropriata sulla base di una serie di fattori clinici e, soprattutto, della durata dell’episodio aritmico. Al primo episodio di fibrillazione atriale la cardioversione è sempre indicata e può essere tranquillamente ripetuta anche più volte nel tempo, quando è necessario ripristinare il normale ritmo sinusale. Se l’aritmia dura da più di 48 ore e/o la persona non è adeguatamente anticoagulata, la cardioversione potrà essere preceduta da una ecocardiografia transesofagea (un esame in cui una sonda viene introdotta dalla bocca e avanzata all’interno dell’esofago) al fine di escludere la presenza di coaguli nell’atrio.

PROBLEMA SOCIALE

L’impatto sociale dell’ictus è enorme, essendo la prima causa di disabilità al mondo. Ciò nonostante, i dati disponibili in Italia indicano che si tratta un numero insufficiente di pazienti con Fibrillazione Atriale, anche ad alto rischio. Un’elevata percentuale di pazienti (circa il 50%), soprattutto gli anziani, nonostante una chiara indicazione al trattamento con anticoagulanti, non riceve alcuna cura specifica, oppure è in terapia con farmaci antiaggreganti la cui efficacia è inadeguata. A questi si devono aggiungere le persone attualmente in trattamento con l'anticoagulante orale walfarin e che, nonostante frequenti monitoraggi e aggiustamenti della dose, presentano valori fuori range terapeutico (proporzione variabile dal 30 al 50%).

Da quando sono disponibili i NAO, che non richiedono il monitoraggio periodico della coagulazione ematica in laboratorio, si è ottenuto un significativo vantaggio sia per la persona che per il Sistema Sanitario. Infatti, la maggior facilità di accesso alla terapia anticoagulante ha contribuito ad aumentare la percentuale di pazienti con fibrillazione atriale correttamente trattati.

SCOAGULAZIONE

La nuova generazione di anticoagulanti orali ha fornito a medici e pazienti una gamma più ampia di opzioni terapeutiche per prevenire e curare le malattie tromboemboliche, come quelle determinate della Fibrillazione Atriale. Hanno rivoluzionato la prevenzione dell’ictus nei pazienti fibrillanti, poiché realizzano un trattamento efficace, ma soprattutto più sicuro e maneggevole dei vecchi anticoagulanti, anche in quei pazienti in precedenza non trattati proprio per il timore degli effetti indesiderati della terapia, come le complicanze emorragiche.

Infatti, come tutti i farmaci anticoagulanti rendono il sangue più fluido poiché impediscono la formazione di coaguli che possono portare ad ictus, ma proprio per questa caratteristica aumentano il rischio di sanguinamento.

In situazioni di emergenza (es. incidente stradale, chirurgia d’urgenza) potrebbe, quindi, essere necessario bloccare l’attività anticoagulante immediatamente. Se un anticoagulante dispone di un farmaco che blocca rapidamente la sua azione si parla di “scoagulazione reversibile”.

La molecola chiamata idarucizumab, disponibile in Italia da aprile 2016, è in grado di bloccare completamente l’effetto anticoagulante del farmaco dabigatran. E’ un vero e proprio antidoto e la sua azione si protrae per un tempo sufficiente a gestire l’emergenza in corso, con un buon profilo di sicurezza.

La molecola andexanet, approvato per l’uso ospedaliero nel giugno 2019, è in grado di revertire l’attività anticoagulante dei farmaci Apixaban, Rivaroxaban ed Edoxaban.

È attualmente in fase avanzata di sperimentazione clinica anche il ciparantag, una molecola con il potenziale di invertire l’effetto di diversi tipi di anticoagulanti.

I Nuovi Anticoagulanti Orali stanno assumendo un ruolo sempre più strategico nella prevenzione di eventi tromboembolici nelle persone a rischio: si sono dimostrati efficaci almeno tanto quanto il Warfarin, ma più facili da gestire e con un numero inferiore di sanguinamenti. La disponibilità della scoagulazione reversibile ne completa il profilo di sicurezza, permettendo al paziente di vivere serenamente la propria vita.

A.L.I.Ce. Italia ODV

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